martedì 2 settembre 2008

Follia collettiva

Della prima infanzia ciascuno porta pochi ricordi coscienti e definiti. Io ne ho due indelebili.
Il primo e' mio fratello appena nato nel seggiolone vicino a me sul sedile posteriore della Panda bianca.
Il secondo e' con mio padre allo stadio di Marassi, da qualche parte nei distinti, il Genoa sta perdendo uno a zero contro non mi ricordo piu' chi in una qualsiasi partita probabilmente di serie B. A pochi secondi dalla fine segna Scanziani, che era il mio giocatore preferito perche' secondo me assomigliava a mio papa'. Proprio stamattina leggevo: Una de las trampas de la infancia es que no hace falta comprender algo para sentirlo. Para cuando la razon es capaz de entender lo sucedido, las heridas en el corazon ya son demasiado profundas. (Una delle magie dell'infanzia e' che non e' necessario comprendere qualcosa per sentirlo. Quando la ragione diviene capace di capire quello che succede, le ferite nel cuore sono gia' troppo profonde. C. R. Zafon, La sombra del viento. Traduzione mia.)

Andare a vedere il Genoa allo stadio e parlare del Genoa e' qualcosa che sento essere allo stesso tempo totalmente stupido e totalmente irrinunciabile. E' una cosa che mi riporta alle radici, a un tempo spensierato, a qualcosa di cui sentirsi parte insieme a tanta gente che sento in quel momento vicina sebbene perfettamente sconosciuta. Da quando dieci anni fa sono andato via da Genova mi aiuta a sentirmi legato alla mia citta'.
E' forse ridicolo a dirsi, ma ogni volta resto sorpreso dall'effeto che l'irrazionale passione del pubblico di Marassi puo' avere sugli undici maestri dell'arte pedatoria che calcano il verde prato in maglia rossoblu': ci sono certi momenti in cui si crea una reazione a catena di incitamento e scatti, di agonismo e passione, l'urlo sale piu' forte e sul campo si materializzano nuove forze, quasi che passassero a chi si trova a calcarlo da chi ci si trova intorno, non piu' semplice spettatore.

Lo sport in se' sarebbe anche nobile cosa, dicono, ma e' vero che il calcio professionistico di quella nobilta' ha perso molto, in tutte le sue componenti. Tuttavia qualcosa di speciale proprio perche' irrazionalmente umano rimane la domenica negli stadi e in quel che ciascuno di noi sente quando il rito si rinnova, pur essendo cosciente che quel rito e' in gran parte una finzione, un gioco, a volte una truffa.

Ogni tifoso pensa che la sua squadra sia speciale. Tuttavia e' innegabile che ci sia qualcosa di speciale nell'orgoglio che i genoani sentono per la loro storia, per l'essere gli eredi di chi ha portato per primo il calcio e forse lo sport in Italia, per il vissuto del primo quarto del secolo quando gli scudetti si susseguivano, e ogni volta devo spiegare che si', c'erano molte meno squadre allora, ma lo scudetto si dava a chi c'era, e il merito del Genoa e' esserci stato. Da 80 anni ormai sogniamo il decimo scudetto e nutriamo il nostro sogno con trasferte oceaniche, con bagni nella fontana di Piazza De Ferrari dopo una promozione o una salvezza, con mille parole e mal di testa e cuori che battono forte per una cosa stupida come un gol in una partita di calcio. Purtroppo a volte, ma nemmeno cosi' di rado, il cuore di qualcuno smettere di battere in uno stadio per avere battuto troppo forte, e noi diciamo che ci guarda dal "terzo anello" della Gradinata Nord, che sta parecchio piu' in alto del secondo.

Nell'estate del 2003 il Genoa rischiava la retrocessione is serie C. Ero a Pisa, avevo appena finito di scrivere la tesi di laurea. Il Genoa quel giorno avrebbe giocato in notturna ad Ancona.
L'Ancona era lanciatissimo verso la serie A, per noi invece, se avessimo perso, la retrocessione sarebbe stata praticamente certa. Mio fratello mi chiama da Genova e mi dice: "Andiamo ad Ancona!". Io ci penso qualche secondo, faccio un rapido consulto, e gli dico: "OK, prendi il primo treno e andiamo in macchina da qua". Sara' stato mezzogiorno. Partenza verso le 15 da Pisa, arrivo allo stadio poco prima dell'inizio, ricerca disperata del biglietto. Ci saranno stati 2500, forse 3000 genoani. Naturalmente abbiamo perso. Ritorno a casa a Pisa a notte inoltrata. E' stata una giornata indimenticabile, una che rivivrei esattamente come fu.

Passano due anni. Giugno 2005. Il Genoa gioca a Piacenza, se vince conquista la promozione in serie A. Mio fratello questa volta e' a Piacenza con 20.000 genoani, che si organizzano con tutti i mezzi di trasporto possibili, persino in Vespa, bici e qualcuno prende parte a una staffetta a piedi!
Io sono a Livorno, la mattina compro il giornale e scopro che danno la diretta per radio in Piazza De Ferrari. Non posso perderla. Con la scusa di una giornata al mare alle Cinque Terre trascino Chiara alla diretta. Uno a zero per noi. Uno a uno. Due a uno per noi. C'e' una signora che avra' avuto 70 anni a fianco a noi, piange e mi abbraccia, dice che e' sola ora, ma va sempre a vedere il Genoa a Marassi, come faceva "cu me Bruno". A Piacenza non ce l'ha fatta e ora e' qui con noi. Poco dopo arriva il gol del due pari. La signora mi guarda attonita, fa spallucce e trattiene a stento le lacrime, cosi' diverse da quelle di poco prima. La partita finisce cosi', e torniamo a casa tutti in silenzio.

La domenica dopo e' il 12 giugno 2005. Il Genoa gioca contro il Venezia, gia' retrocesso. Se vince e' matematicamente promosso. I tifosi sono pronti, letteralmente tutto lo stadio si colora di rosso e di blu quando le squadre scendono in campo. E' una cosa da brividi.


Siamo tutti allo stadio. Mio fratello e mio cugino Enzo in Gradinata Nord, i miei cugini Giorgio e Giuggi nei distinti, io, mio padre e mia madre nella cosiddetta "gabbia" appiccicata alla Gradinata Nord. E' la prima volta che mia mamma viene allo stadio dal marzo 1992, Genoa - Ajax in Coppa UEFA. E' lei quella che ci sente piu' di tutti, che ha trasformato mio papa' da milanista a Genoano sanguigno, ma non ce la fa a vedere le partite. Il ritorno in serie A dopo 10 anni pero' non se lo vuole perdere.
Passiamo in svantaggio dopo pochi minuti. E allora tutti all'attacco, otto, dieci tiri: fuori, parato, traversa... poi a pochi secondi dalla fine del primo tempo il nostro giocatore migliore, un attaccante argentino che si chiama Diego Alberto Milito, segna il gol del pareggio. Era spuntato dal nulla un anno e mezzo prima, lo chiamavano "l'oggetto misterioso" e invece presto ha riportato la gioia di vedere giocare a pallone sul prato verde di Marassi. E' uno spettacolo vederlo, la gente dice: "Vai a vedere il Genoa quest'anno perche' c'e' Milito!".

Nell'intervallo la faccia di mia madre e' il ritratto della sofferenza, quella di mio padre della stanchezza. Io penso: "Ora ce ne andiamo e chi se ne frega, perche' questi me li ammazzano!" invece in dieci minuti si riprendono entrambi e restiamo.


Al 10' del secondo tempo il Genoa passa sul 2-1 ma dopo cinque minuti e' ancora pareggio, 2-2. Lo stadio rimane muto per pochi secondi ma poi le urla montano, la gente si sgola, il ritmo sale, ecco che quella forza scende dagli spalti al campo portata dalle urla della gente. Tutti avanti a testa bassa, i minuti passano, il traguardo sembra sfuggire di mano. A un certo punto Milito riceve la palla all'altezza del vertice destro dell'area di rigore, proprio sotto di noi, la stoppa con l'esterno destro e sembra pensare per un istante a cosa fare. Io urlo qualcosa come "Diego, inventati qualcosa ora perche' se no non segniamo mai piu'!". Controlla col sinistro, si porta la palla sull'esterno destro, salta il difensore, e con l'interno la mette nell'angolino alla destra del portiere.
GOOOOL!
Lo stadio sembra crollare, la gente si abbraccia, salta, piange!



Quello che resta da giocare e' una lunga attesa. Ma un'attesa che si protrarra' per due anni. Ci diranno il lunedi' che quella partita era stata comprata, che c'era una busta con dei soldi, che insomma era gia' tutto deciso. Io ero a quella partita e tutto sembrava tranne che combinata, ma si sa che gli occhi del tifoso spesso non sono obbiettivi.

Cosi' il Genoa finisce retrocesso all'ultimo posto e passa attraverso la serie C prima di guadagnare la promozione, questa volta senza sorprese, due anni dopo.

Diego Milito, e' partito nell'estate del 2005 per Zaragoza. Di sicuro non poteva giocare in serie C. Nella Liga Spagnola ha segnato in tre anni una montagna di gol e ogni genoano, in cuor suo, sognava di rivederlo vestire la maglia a quarti rossoblu'. Quando segno' 4 gol in una sola partita al Real Madrid fu allo stesso tempo per tutti noi una grande gioia ("vedi che il nostro Diego non era forte solo in serie B?") e un grande rimpianto ("dove saremmo ora se...").

A volte pero' i sogni diventano realta'. C'e' un uomo del Sud, vende giocattoli e sicuramente sara' un gran traffichino, perche' milionario in Italia senza trafficare non ci si diventa, ma di sicuro sa regalare sogni ai bambini; e i tifosi, specialmente quelli del Genoa, sono sempre un po' bambini.
Cosi' quell'uomo del Sud, ieri ha fatto qualcosa che nessuno si aspettava, qualcosa che ci ha fatto tornare tutti a una delle vigilie di Natale dell'infanzia, ad attendere per un regalo desiderato ma a volte nemmeno sperato e poi vederselo recapitare li', in dono, senza chiedere nulla in cambio che un sorriso. Milito giochera' ancora nel Genoa. Rappresenta un pezzo del nostro cuore, una persona che ha regalato piccoli momenti di gioia a migliaia di persone, dal quale abbiamo dovuto separarci a causa dei nostri errori, e che ora ritorna, l'ultimo tassello di quella che percepiamo come una specie di rinascita.

E' una cosa stupida, lo sappiamo tutti, ma bella come un sogno, magari frivolo, che diventa realta'. Il sogno di un bimbo che ancora non porta sul cuore le ferite del tempo.

2 commenti:

elisabetta ha detto...

Grazie Beppe! Grazie e ancora grazie. Io sono genoana si può dire dala nascita, sono genoana nel sangue, andavo a vedere il Genova quando giocava in Serie C. Le tue parole mi hanno fatto sentire come non mai orgogliosa di essere genoana!

GiMi ha detto...

Elisabetta, per qualche motivo solo stasera vedo il tuo commento. Sono contento, siamo proprio belli noi! :)