lunedì 3 ottobre 2011

Rischiare è un diritto?

Voglio riportare qui un editoriale di Alessandro Gogna, alpinista molto conosciuto nell'ambiente e storico dell'alpinismo, tra l'altro genovese. È apparso sul numero di settembre de "Lo Scarpone", edito dal CAI.


RISCHIARE È UN DIRITTO?
di Alessandro Gogna

Una raccomadazione: “Do per scontata la raccomandazione che l’alpinismo e l’arrampicata vanno intrapresi con prudenza, dopo riflessione e graduale preparazione”

Fra breve il nostro Club alpino potrà associarsi a un movimento internazionale per la libertà nella frequentazione della montagna, sia essa nel campo dell’alpinismo, dello sci-alpinismo, dell’arrampicata pura o dell’escursionismo. Forse non tutti sono al corrente delle tendenze che si stanno sviluppando nelle società moderne, ossessionate dalla ricerca della sicurezza al punto da divenirne schiave. Dovrò dunque anzitutto cercare di esporre brevemente come il problema si pone, per passare poi a chiedere la vostra opinione su vari interrogativi che la situazione suscita. Questo perché da un lato il CAI deve poter valutare l’opinione dei suoi iscritti, dall’altro deve prepararsi a esporre gli argomenti adatti a convincervi della necessità di agire e forse a proporre modifiche del sistema giuridico vigente.

Le società più sviluppate sono sempre più lontane dal rapporto con la natura, che implica non solo piaceri, ma anche sofferenze, fatiche e rischi; tendono quindi ad allontanarli da sé, con un ossessivo ricorso a principi di sicurezza. In esse pullulano così gli “esperti di sicurezza”, che fanno leva sulle loro paure, qualche volta a vantaggio della propria visibilità e dei propri interessi. La stampa dedica particolare attenzione agli incidenti che accadono nel corso di attività alpinistiche, con valutazioni spesso superficiali e toni critici che hanno una certa presa sull’uomo della strada e anche sull’opinione di molti amanti della montagna; persino di qualche alpinista un po’ distratto. È così che, a livello parlamentare, regionale o di autorità locali, può nascere la tentazione di ridurre la libertà di azione nel campo dell’alpinismo. Accrescere la propria visibilità in campo politico e ridurre i fastidi sono le motivazioni più ovvie di queste tentazioni, che hanno facile presa sull’opinione pubblica; meno evidenti, ma spesso presenti, ci sono inoltre anche motivazioni economiche.

Prima di dare qualche esempio di misure restrittive introdotte o tentate, desidero invitarvi a riflettere sugli aspetti etici del problema della libertà: da grandi saggi del pensiero liberale come John Stuart Mill a filosofi come Bertrand Russel, viene l’invito a considerare che esistono diritti essenziali che ci appartengono, non in quanto membri di una comunità politica, ma in quanto esseri umani, e che uno degli aspetti fondamentali e della vita civile deve essere la libertà di agire secondo le proprie opinioni, purché lo si faccia a proprio rischio e pericolo.

Le misure restrittive prese, o proposte, fino a oggi riguardano soprattutto il campo dello sci-alpinismo; questo perché il tema della “valanga assassina” attira morbosamente i lettori dei giornali. Il nostro codice penale considera che una valanga può distaccarsi per caso fortuito oppure per colpa o dolo. Purtroppo la tendenza degli ultimi anni è stata nel senso di adottare l’interpretazione più severa delle leggi. Così è recentemente accaduto che due studenti tedeschi che a Livigno avevano provocato una valanga, senza conseguenze, sono stati arrestati. In Piemonte un escursionista che aveva causato una valanga da cui era stato travolto ha ricevuto un avviso di garanzia. In Valtellina una guida che aveva causato una valanga è stato condannata a una pena detentiva. Si noti che in Austria e in Svizzera la legislazione, o la sua interpretazione, è molto più equilibrata.

Altro esempio: la legge 363 del 2003 sugli sport invernali impone l’uso di sistemi elettronici di ricerca per chi si muove fuori pista nelle aree attrezzate per facilitare la ricerca. Ma in Piemonte una legge regionale del 2009 prevede l’estensione dell’obbligo dell’ARTVA (Apparecchio Ricerca Travolti da Valanga) - oltre che di pale e sonda - anche per aree non controllate di qualsiasi pendenza. Di conseguenza si è dato il caso di sanzioni anche per gente che si muoveva su neve senza ARTVA in zone a pendenza praticamente zero. Fortunatamente la legge è per il momento sospesa, in attesa di revisioni; le proteste hanno avuto effetto.

Per quanto riguarda i vincoli all’arrampicata e all’alpinismo su roccia e ghiaccio, si tratta per ora soprattutto di vincoli posti dai sindaci all’uso di palestre di roccia (al di là delle restrizioni per motivi ecologici); questo deriva un po’ dal desiderio di evitare fastidi e un po’ dall’ottica di far mercato della montagna. Però non ci si illuda: cito la Legge della Provincia di Trento 2002, N. 7 che dichiara assoggettabili a controllo e manutenzione anche le “vie alpinistiche”, definite come “itinerari che possono richiedere una progressione in arrampicata, segnalate anche soltanto da tracce di passaggio”. Non è azzardato prevedere una tendenza a porre vincoli alla libertà di accesso a questi “percorsi”. Bisogna rendersi conto che il problema è internazionale, e la tendenza a porre vincoli alle attività alpinistiche si sta estendendo; per questo in Francia è nato un osservatorio per le libertà e si propone di estenderlo a livello internazionale.

Non fatevi ingannare dalla poca rilevanza degli esempi sopra riportati: quello che preoccupa è il pullulare di iniziative liberticide, per ora in buona parte rientrate. Esso indica chiaramente quella che è la tendenza delle società moderne, ossessionate dal desiderio di sicurezza. Penso ad alcuni aspetti di un vasto progetto di legge (sulle professioni...) di cui si è occupata il ministro per il Turismo Michela Vittoria Brambilla, fortunatamente dormiente in qualche cassetto del Ministero. Penso all’iniziativa della giunta di un’importante località turistica delle Dolomiti, che aveva proposto di fare un elenco delle gite sci-alpinistiche autorizzate, proposta rientrata per la reazione delle guide locali. Penso al provvedimento, rientrato, del sindaco di Livigno che proibiva le gite sci-alpinistiche senza accompagnamento di guide.

C’è poi la trappola in cui non bisogna cadere, cioè farsi influenzare da ragionamenti apparentemente sensati. Per esempio, il costo degli incidenti per il servizio sanitario nazionale; questo ragionamento spinse l’URSS a concedere l’attività alpinistica solo a chi era fornito di un apposito tesserino, visto che doveva contribuire alla gloria della Patria. Si noti che questo vincolo esiste ancora, per lo meno ufficialmente, in Russia e in Azerbaijan. Vogliamo essere “sovietizzati”? Ci rendiamo conto che i costi derivanti dagli incidenti in montagna o in parete sono una frazione infinitesima di quelli provocati da tante altre forme di libertà, quali il fumare e il bere, la vita sedentaria, i viaggi in auto durante il fine settimana, e anche molto inferiori a quelli derivanti dal ciclismo e dallo sci da pista?

Altro argomento usato frequentemente dalla stampa, che fa presa sul pubblico, è quello dei rischi corsi dagli operatori del soccorso alpino. In realtà, da quando esiste l’alpinismo (e questo lo dovrebbe sapere anche l’uomo della strada), sono gli stessi alpinisti che, per loro consolidata natura solidale, hanno fornito l’opera di soccorso, sia in veste di professionisti che da volontari.

Ho accennato brevemente ai rischi che corre la libertà. Bisogna reagire, anche se molti dei tentativi sono stati già rintuzzati. Le associazioni alpinistiche francesi lo hanno ben compreso, proponendo la creazione di un osservatorio, cioè una rete di persone che si preparano a rintuzzare le insidie alla libertà, e la sua estensione a livello internazionale. Vi invito, alpinisti e amanti della montagna, a informarvi sugli argomenti a cui ho brevemente accennato e a fornire elementi essenziali per la valutazione della vostra opinione e delle informazioni che debbono essere fornite alla più generale opinione pubblica.

Per concludere, tramite questo sondaggio cerco di migliorare le mie conoscenze sulle opinioni degli alpinisti e degli amanti della montagna sui problemi che questa tendenza solleva. Vi prego di farmi conoscere il vostro parere.

Alessandro Gogna

articolo pubblicato ne “Lo Scarpone” Settembre 2011, pag. 29

IL QUESTIONARIO PUÒ ESSERE SCARICATO AL SEGUENTE INDIRIZZO:
http://www.edizionimelograno.com/hig...onario_def.zip
Va rispedito compilato a:
info@alessandrogogna.com
oppure inviato per posta al seguente indirizzo:
Alessandro Gogna, via Morimondo 26, 20143 Milano

3 commenti:

leonardo ha detto...

Credo che la tendenza al controllo sia parte della societa' in cui viviamo e il mondo della montagna non penso ne sia immune.

Lo fanno un po' per fare cassa, un po' per dare l' idea ad elettori e contribuenti che le persone elette stanno facendo qualcosa. Sicurezza e' un mantra da ripetere per cittadini rimbabiti da TV e supermercati. E fa sempre presa.


Il tema dell' accesso alla montagna e agli spazi aperti sara' cruciale nei prossimi anni, con una massa di persone urbanizzate che premono per "aria fresca e cielo pulito". La montagna - in un senso esteso- diventera' un bene di lusso per una popolazione intrappolata in citta' poco vivibili, con pochi mezzi a disposizione per muoversi. Dove c'e' profitto, c'e' sempre qualcuno pronto a scrivere leggi o regole.


I soccorsi in montagna gravano sui contribuenti. Come gravano sui contribunti le persone che si schiantano in macchina perche' ubriache, gli obesi che hanno un attacco cardiaco perche' mangiano in modo smisurato .. e potrei continuare.

GiMi ha detto...

Leo, che dire?
Come spesso accade, sottoscrivo al 100% le tue parole.
Salvo che tu sei pure più catastrofista di me :) (popolazione intrappolata eccetera...)

leonardo ha detto...

In realta' situazioni del genere esistonon gia'.
Pensa a Los Angels, dove ci sono bambini di dieci anni che non hanno mai visto il mare (che dista poche miglia), figuriamoci la Sierra.
Ma non credo che la situazione sia molto diverse in alcune zone perifiriche di Milano.
Fare una battaglia sempre sulla difensiva e' pericoloso... io non voglio vivere la montagna come una zona di riserva. A mio parere il discorso dell' accesso agli spazi aperti non si puo' staccare da quello dell' urbanizzazione e del modo in cui viene fatta.
Moriremo tutti comunque prima o poi...