Archiviata la stagione pirenaica e i poco affidabili compagni di avventura catalani, si parte alla volta delle Alpi.
E' bello sapere che in giro per il mondo c'e' qualcun altro disposto a prendersi un paio di giorni di ferie per andare a 3800 metri a prendersi il freddo vento di un colle innevato il 28 di maggio. Un buon punto di partenza per una buona intesa.
Il locale invernale del rifugio Chabod e' il piu' lussuoso che abbia mai visto. Stufa a legna, gas, pentole, varie decine di posti, tutto ancora profuma di legno nuovo. Meraviglioso. Un po' di relax e' d'obbligo.
La notte del 27 maggio, dopo aver svolto anche mansioni di centralino, mentre Barcellona e' in delirio per il triplete, noi, ignari di tutto, ci corichiamo verso le 22.30, con la sveglia puntata alle 4. Destinazione lo Scivolo Aurora, sulla parete NW del Gran Paradiso.
Siamo soli al rifugio e soli sulla montagna. Il cielo e' velato da poche nuvole che presto spariranno, e solo da meta' parete il vento si fa fastidioso e pungente.
Al colle pero' il freddo e' intenso e non ci lascia il tempo di ristorarci e riposarci. Togliamo le pelli e ci prepariamo alla discesa. C'e' solo un sottile strato di neve inconsistente sul ghiaccio vivo e decidiamo di scendere i primi metri con piccozza e ramponi, fino a quando la pendenza non si fa appena piu' soave e la neve piu' abbondante.
La prima curva e' sempre la piu' importante. La crosta non si rompe, il grip e' eccellente, all'improvviso la tensione si scioglie.
E' quasi una magia come, una volta infilati due pezzi di legno ai piedi, tutto diventi piu' semplice, naturale.
Un paio di curve per capire fino a che punto fidarsi e poi via alla ricerca del passaggio migliore fra le leggere rigole primaverili.
Sotto la crepaccia terminale, finalmente troviamo il tempo di rilassarci un attimo e guardarci alle spalle. Sotto di noi, la neve e' perfetta. Primaverile, liscia, smollata dal sole al punto giusto. La pendenza e' moderata, non ci resta che godere del gesto, della velocita', della leggera pressione che la neve e lo sci restituiscono alla caviglia e al ginocchio tra una curva e l'altra.
Non siamo piu' soli sulla montagna. Dalla Schiena d'Asino spunta un gruppo di scialpinisti piemontesi che scendono dalla vetta. La tensione si allenta e non ci resta che tornare al rifugio, ravanando un po' tra la neve pesante e le roccette, riposare un poco, riprendere le nostre cose, e scendere in qualche modo sulle ultime lingue di neve fino a riprendere il bel sentiero nel bosco che ci riporta all'auto fra pini e i camosci.
Il torrente in piena e' li' che ci aspetta dal giorno prima e una sciacquata in una pozza proprio non ce la possiamo evitare.
Resta un po' di amaro in bocca per non aver messo gli sci fin da subito, ma resta soprattutto il sapore buono di due giorni intensi ma sereni in cui, come quasi sempre accade, la montagna ci ha fatto sapere che abbiamo ancora qualcosa da imparare, su di lei e su noi stessi.
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