venerdì 12 novembre 2010

Emozioni

Mio padre ha comprato questo disco di vinile nel 1970, aveva 19 anni.
Aveva allora lo stesso odore che sento io oggi? Quest'odore come di vestiti rimasti una serata davanti al caminetto. Per quanto ne so io, in nessuna delle case dove è stato conservato ce n'era uno.
La sensazione che lasciava allora sulle sue mani è la stessa che lascia oggi sulle mie?

La puntina gracchia sul vinile e le sue piccole vibrazioni si trasformano in una sottile corrente che attraverso il braccio del giradischi e un corto cavo che esce dal suo retro raggiungono il mio laptop bianco e producono un suono quasi inatteso attraverso le sue piccole casse.
È un percorso che dura una piccolissima frazione di secondo eppure è come se attraversasse quarant'anni e due generazioni.
La scatola bianca con tutte le sue diavolerie nascoste dentro trasforma quella corrente in dodici righe di un elenco che ne contiene migliaia.

Anche a me fanno un po' sorridere i nostalgici dei dischi in vinile ma ora che ne ho uno davanti agli occhi e lo osservo girare 33 volte al minuto, centinaia di volte più lento dei suoi nipoti moderni, penso che a fatica le migliaia di tracce della mia collezione di musica digitale possono eguagliare il fascino e l'emozione di uno solo di questi dischi di plastica nera. 
È passato attraverso le mani di mio padre e di chissà chi altri, magari di qualcuno porta ancora le impronte digitali. 
La musica gli è fisicamente incisa sopra, le sua piccole asperità si trasformano in suono che giunge fino al mio timpano. E il mio timpano vibra quasi all'unisono con la puntina che passa sopra quelle asperità. 

Le 12 nuove righe della mia lista potranno fra quarant'anni trasformarsi ancora in musica?

Lucio Battisti - Emozioni

Lato 1
1. Fiori rosa fiori di pesco
2. Dolce di giorno
3. Il tempo di morire
4. Mi ritorni in mente
5. 7 e 40
6. Emozioni

Lato 2
1. Dieci ragazze
2. Acqua azzurra, acqua chiara
3. Era
4. Non è Francesca
5. Io vivrò (senza te)
6. Anna

Tutti i brani sono di Battisti - Mogol

giovedì 11 novembre 2010

Giro giro tondo

Stasera ho aperto il giradischi che ho ordinato un paio di giorni fa e che stamane mi hanno consegnato a casa. È uno di quei giradischi moderni che si attaccano al computer e ti permettono di trasformare in formato digitale la tua vecchia collezione di vinili.
L'ho attaccato al laptop, ho accostato il braccio al bordo del disco (quanto tempo era che non compivo questo semplice gesto manuale per ascoltare la musica!), il disco ha cominciato a girare, ho spostato la levetta del sostegno, la puntina si è abbassata dolcemente e immediatamente come per magia il suono ha cominciato a uscire dalle piccole casse annegate dentro questa scatola bianca sulla quale sto battendo i tasti.
È stata un'emozione inattesa, capace di rimuovere un po' di quella sterilità produttiva degli ultimi tempi. Così mi sono messo a scrivere di questa emozione.
Finito il Lato 1 del disco ho salvato la bozza. Il disco l'ho sentito ma la digitalizzazione non ha funzionato: tutto muto... vabbeh, pazienza, giro il piatto e riprovo col Lato 2, intanto continuo a scrivere mentre ascolto.
Finito il Lato 2. Niente da fare, non funziona. Nel frattempo ho finito il post. Lo pubblico ma... qualcosa va storto. Il post sparisce, anche dalle bozze. Irrecuperabile. Ho provato a riscriverlo ma non è la stessa cosa, quell'emozione si è come persa.

Scrivere è come tirare fuori qualcosa che hai dentro, ma una volta che la penna o la tastiera lo hanno assorbito è andato via, non ritorna più. Non posso provare a riscrivere quello che ho scritto prima, non ci riesco.
E allora intanto ora metto su un altro disco, e poi ricomincio da capo, per vedere se quell'emozione torna e magari passa di nuovo su questa tastiera...

giovedì 21 ottobre 2010

Mein Traum

Con qualche aiutino esterno, il corso di tedesco sta dando i suoi frutti...

Mein Traum ist dumm zu werden.
Wenn du dumm bist, niemand, nicht einmal du selbst, kann zu viel von dir fordern.
Normalerweise hat ein Dummer viele Antworten. Oft sind sie falsch, aber der Dumme weiss es nicht. Er glaubt, sie sind richtig und ist oft zufrieden mit ihnen.
Andererseits, wenn du nicht dumm bist, hast du viele fragen, und zu wenig Antworten. Manchmal findest du eine Antwort, aber jede Antwort bringt wenigstens drei neue Fragen und du kannst nie das Ende sehen. 
Was bekommst du, wenn du zu viel fragst? Oft kannst du dich nicht mehr bewegen und wartest auf diese wichtige Antwort. Doch während du wartest und die Antwort suchst, verstehst du bald, dass es keine wichtige Antwort gibt. Und kurz danach vergisst du die Frage und stellst eine neue.

mercoledì 20 ottobre 2010

Oggetto del desiderio?

Tutti ne parlano, molti lo vogliono...




Dynafit TLT5 Performance, apparentemente il nuovo standard per lo scialpinismo esigente...

martedì 14 settembre 2010

Ecco il corno

In relazione al post precedente, grazie all'aiuto del buon Osvaldo, ecco qua finalmente un po' di immagini del "corno" (in tedesco sauschwanz).

Effettivamente ho trovato solo foto di versioni leggermente più sicure di quella presente al Col du Sanetsch, le cui estremità sono più aperte rispetto agli esemplari che vedete qui sotto.
Inoltre i corni di Sanetsch non sono infilati in anelli stretti come quelli nelle figure ma, come ho cercato di descrivere, in un tondino metallico le cui estremità, lontane circa 15 cm, sono ancorate alla roccia.





Inoltre sembra che sia consigliata spesso una "ridondanza" nell'assicurazione, che tuttavia chiaramente non si può applicare all'ultimo che discenda la via, a meno di non lasciare sempre del materiale in parete....

Laura ha infilato un moschettone in quella specie di anello che si forma in alto, che però nella versione del corno presente al Col du Sanetsch non è un anello. Così il corno si è capovolto, è uscito dalla sede ed è venuto giù.

lunedì 13 settembre 2010

Di empatia e attenzione

Fa un rumore sordo un corpo che cade sbattendo contro la roccia.
Pensavo che avessero buttato di sotto uno zaino.
E invece poco dopo spunta su un piccolo pianoro alla nostra destra una delle due ragazze che un'oretta prima con un amico si erano infilate nella valletta a fianco.
È al cellulare e parla francese.

- Un chute. Dix mètres.

Una caduta. Dieci metri.
La sua amica è venuta giù.

Mi attacco al rinvio e chiedo a Osvaldo che mi sta assicurando se anche lui ha capito la stessa cosa che ho capito io.
Non serve che mi risponda. Dalla valletta arriva un lamento, poi un grido e un pianto.

La ragazza chiude il telefono, gridando le chiedo se hanno bisogno di aiuto, mi risponde che la sua amica è caduta, che ha chiamato l'elicottero.

- Arriviamo!

È un momento delicato. Mi mancano due rinvii per arrivare in catena. È difficile rimanere concentrati.

- OK Osvaldo, ora andiamo a dargli una mano, prima però restiamo concentrati su noi stessi ancora cinque minuti, perché se no qua facciamo un altro danno.

Per fortuna in pochi passi riesco a uscire e a calarmi velocemente. Giusto il tempo di infilare le scarpe da ginnastica e ci precipitiamo incontro ai tre, che lentamente spuntano dalla valletta. Gael e Alex sostengono Laura e la trasportano verso il prato che sta sotto di noi.

Regola numero uno in caso di incidente: non spostare la vittima.

Penso che se la stanno spostando non si dev'essere fatta quasi niente, ma allora perché hanno chiamato l'elicottero? Li raggiungiamo di corsa.
Laura singhiozza dolorante, "perché diavolo la stanno spostando?", continuo a pensare.
Ormai siamo in ballo, in mezzo a una piccola pietraia, non possiamo lasciarla lì, raggiungiamo un prato scosceso poco più in basso.

Le chiamate si susseguono convulse, con il cellulare che prende e non prende. Hanno capito dove siamo, Col du Sanetsch, ci mandano l'elicottero, da Sion. Laura ogni tanto scoppia in lacrime e singhiozzi, ogni tanto è più tranquilla.

Regola numero due in caso di incidente: coprire la vittima con coperte o indumenti caldi.

- Laura, hai freddo?
- No, no...

Copriamola lo stesso, con la mia giacca, con la tua, vedrai che tra poco le viene freddo.
Cinque minuti dopo quasi comincia a tremare, poi si riscalda di nuovo, con le giacche ben sistemate sul tronco e sulle gambe.

Finalmente l'elicottero arriva volteggiando sulla valle. Quasi sembra allontanarsi un paio di volte mentre scende verso di noi.

Due braccia alzate, ferme, a V. Abbiamo bisogno di aiuto, vi abbiamo chiamato noi.

Siamo su un terreno scosceso, il piccolo elicottero si abbassa ondeggiando fino a meno di un metro da terra, le pale del rotore passano a poche decine di centimetri dall'erba e dalle rocce a monte. Resta lì in quella posizione probabilmente solo per alcuni secondi, ma a noi sembrano quasi minuti.
Saltano giù in due. Un medico e una guida alpina. Cominciano a prendersi cura di Laura.
Cos'è successo? da quanto tempo? ti fa male qui? e qui? senti la mia mano sulla gamba? riesci a muovere il braccio?
Una piccola iniezione, la copriamo, la mettiamo sulla barella, la fasciamo con cura.
La caliamo in un punto dove l'elicottero può manovrare meglio. Siamo in quattro, ma non so se quella barella è pesantissima, o se la tensione fa sembrare lo sforzo più grande, il peso sembra enorme, e camminare sull'erba sdrucciolevole non è per niente semplice.

Il pilota si avvicina di nuovo, cala un verricello, la barella è agganciata a un moschettone al quale si assicura anche il medico. La guida aggancia il verricello al moschettone e l'elicottero ricomincia a salire. Atterra a qualche centinaio di metri di distanza, proprio sul passo, tra le comitive in gita al ristorante posto proprio sul valico.

I due ragazzi del soccorso e il pilota sono stati davvero efficienti, rapidi, organizzati, molto professionali, sicuri.

In queste situazioni si genera un'empatia spontanea, persino tra perfetti sconosciuti, e la partecipazione al dolore di una persona è immediata così come il sollievo al giungere di notizie confortanti.
Verso sera, da Gael sappiamo che Laura non si è fatta quasi niente, solo qualche contusione e un grande spavento. Per fortuna indossava anche il casco, cosa che si dovrebbe fare sempre, ma troppo spesso non si fa, quando si arrampica in falesia.

La guida alpina resta ancora qualche minuto con noi, per cercare di capire cosa sia successo prima di ripartire.

Come ha fatto a cadere?

Stava scendendo dopo aver salito un monotiro, aveva naturalmente passato la corda in catena, ma a quanto pare proprio questa è venuta giù.
L'ultimo rinvio era piuttosto distante, Laura era già in fondo alla discesa ed è precipitata fino al suolo, sbattendo prima un paio di volte sulle rocce: i rumori sordi che abbiamo sentito poco prima.
Com'è potuto succedere?
Le vie sono abbastanza facili, le protezioni sono tutte nuove e ben tenute. In catena c'è un sistema molto semplice, rapido, affidabile ed efficace, che ho visto solo in Svizzera, un po' difficile da descrivere a parole, ma devo provarci, perché non riesco a trovare una foto, e perché è necessario per spiegare come sia avvenuto l'incidente.

[EDIT: grazie ad Osvaldo, ho trovato alcune foto di tale sistema]

Un tondino di metallo e' ancorato alla roccia per le sue estremità. Un oggetto che credo venga chiamato corno è posto a cavallo del tondino: ha la forma di una U rovesciata che si stringe decisamente verso le estemità, le quali sono fortemente ritorte all'indietro, similmente alle corna di un muflone, formando così una specie di doppio gancio in cui infilare la corda prima di cominciare a scendere.
È un sistema che a me piace, ma, evidentemente, come dice Osvaldo, non è "a prova di imbecille".

Molto probabilmente Laura non lo aveva mai visto prima e, invece di guardarlo e pensare un attimo a come funzionava, ha preso un moschettone a ghiera l'ha "infilato" nella U, scambiando il restringimento verso le estremità per un anello e ha passato la corda nel moschettone, cominciando a calarsi.
Siamo sicuri che abbia agito così perché sulla via a fianco abbiamo visto un altro moschettone a ghiera "infilato" proprio in questa maniera.
Con la trazione esercitata dalla corda, il corno si è capovolto e, non essendo di fatto chiuso ad anello intorno al cordino incastrato nella roccia, si è semplicemente "sfilato", facendo precipitare Laura al suolo.

Le è andata davvero bene, perché poteva farsi molto male. Qualcun altro poteva farsi ancora più male se per caso lei fosse arrivata in fondo fortunosamente senza problemi (come probabilmente le era successo sull'altra via), e poi tale sfortunato "qualcun altro" fosse salito "da secondo", fidandosi solo dell'ancoraggio in cima, che avrebbe potuto sganciarsi in qualsiasi momento facendolo improvvisamente precipitare (anche da molto in alto...).

Nella vita in generale, ma in particolare quando si va in montagna o ad arrampicare, bisognerebbe cercare di essere ben "presenti a se stessi", attenti e consapevoli.
Se sei in un posto dall'accesso molto facile, segnalato sulle guide come adatto alle famiglie con bambini, con ancoraggi nuovissimi e ravvicinati, e arrivando in sosta ti trovi davanti a qualcosa che non conosci, è davvero molto strano pensare che per calarti tu debba abbandonare un moschettone in cima. Dovrebbe venirti il dubbio che forse il sistema è un altro.

Ricordo molto bene la prima volta che ho trovato questo "corno" in cima ad una via. Eravamo a Sunnbüel, nell'agosto del 2008, e stavo arrampicando su una via per me non semplicissima quando all'improvviso ha cominciato a piovere.
Quasi correndo sono arrivato in cima e mi sono trovato davanti questo sconosciuto. Che fare? Beh, devo dire che basta guardarlo per alcuni secondi per capire come passarvi la corda dentro. Alla fine è un gesto quasi naturale.
Non immediatissimo forse e sicuramente non "a prova di imbecille", però sai che stai rischiando di farti molto male se sbagli qualcosa in quel momento, e allora prenditi un po' di tempo, guarda bene quello che stai facendo, e usa la testa.
Questo non è successo 10 giorni fa su quella via.

Merci beaucoup à toi et ton ami qui m'avez vraiment aidés samedi au Sanetsch!
Dure journée mais je m'en sors plutot bien!
All the best,
Laura


venerdì 3 settembre 2010

Dimenticavo...

... nel post di prima che a volte le immagini sono assai eloquenti e non hanno bisogno di parole...

Queste sono davvero terribili...

Sapere, conoscere, raccontare

Sinceramente, mi fido sempre meno dei giornalisti.
Ogni volta che leggo un articolo che riguarda qualcosa che conosco bene, direttamente o indirettamente, mi rendo conto che la verità che viene raccontata è ben distante da ciò che è realmente accaduto o ciò che si è detto o discusso.
Ora non starò qui a sciorinare esempi, ma mi riprometto d'ora in avanti di riportare quelli che mi risultano più clamorosi o quelli fortemente sospetti.

È pur vero che ci sono diversi gradi di conoscenza e consapevolezza della realtà, e non necessariamente la verità da raccontare è soltanto una ma per quanto riguarda i fatti e i nomi di luoghi e di persone, mi piacerebbe che il riscontro fosse per lo meno coerente.

Ormai considero la gran parte degli articoli di giornale, almeno quelli italiani, un resoconto fumoso di un fatto che è andato più o meno in quel modo ma potrebbe anche essersi svolto in maniera molto se non del tutto differente.
Mi fido invece in misura moderatamente maggiore dell'informazione tecnica, proveniente da fonti specializzate, possibilmente aperte alle opinioni dei lettori (tipicamente riviste on line che permettono il commento degli articoli), che offrono una qualche forma di controllo dell'attendibilità di quanto riportato.

Mi fido forse ancor più di reporter casuali, tipo blogger e testimoni involontari, che solitamente non hanno interesse a modificare una notizia per renderla più spendibile o appetibile. Possono cadere facilmente in una qualche forma di pregiudizio nella narrazione, ma spesso la matrice di tale pregiudizio è più o meno facilmente riscontrabile dal tono e dai contenuti delle informazioni che sono soliti riportare e non è perciò difficile "fare la tara" a quello che si legge.
Molto più difficile invece compiere la stessa operazione leggendo una testata tradizionale.

Ci sarebbe poi un appunto sull'uso della lingua italiana in rete. Davvero, come si dice, i creatori di contenuti "non professionisti" hanno una padronanza della lingua scritta inferiore a chi scrive per mestiere? (A tal proposito ho trovato interessante questa discussione, per chi ha voglia di seguirla)
Probabilmente la risposta è sì.
Io stesso, rileggendo alcuni post dopo settimane o mesi, mi rendo conto a volte di aver commesso errori grossolani di grammatica e anche di sintassi.
Tuttavia, sempre più spesso mi imbatto in errori davvero fastidiosi leggendo quotidiani e riviste.
Un errore tipico che mi innervosisce è la virgola posta tra soggetto e verbo. È vero che nella lingua parlata a volte si fa una pausa prima del verbo, soprattutto in certe inflessioni centromeridionali, ma nella lingua scritta quella virgola non ci va! È una cosa che insegnano (o forse insegnavano) alle elementari...
Un'altra questione dibattuta è quella della prima persona plurale del presente indicativo di verbi come sognare o accompagnare. Sogniamo e accompagniamo o sognamo e accompagnamo?
Provare con un correttore ortografico per conferma...
L'elenco sarebbe ben più lungo, ma mi fermo perché devo fare ancora parecchie cose prima di potermi godere il weekend.

Bon, fine dello sfogo.

Buon finesettimana.

giovedì 2 settembre 2010

Gente seria

Tre guide alpine valdostane su una Parete Nord, salita in stile alpino, promessa di pulizia integrale della via dopo la scalata, discesa con gli sci.
Questa sì che è un'avventura che vale la pena seguire!

Ah dimenticavo, vanno in cima all'Everest...

lunedì 30 agosto 2010

Progressione geometrica

88 post nei primi nove mesi di blog.
55 nei successivi 12 mesi.
26 (con questo) nei restanti 8 mesi.

Sembra proprio che la produttività sia in calo netto... certamente i primi tempi a Barcellona sono stati assai ricchi di spunti e stimoli, poi forse qualcosa è cambiato e la vena creativa si è un po' spenta. Gli ultimi mesi poi sono stati davvero silenziosi, per molteplici ragioni.

Beh, è alle porte una nuova stagione, abbiamo un nuovo layout, forse che forse con un po' di slancio riusciamo a colmare almeno il gap col 2009.

Buona lettura!

Storie italiane

Oggi sale alla ribalta della cronaca su Repubblica.it la storia del Marchese Camillo Casati Stampa e la moglie Anna Fallarino. Una trattazione un po' più estesa si può trovare anche qua.

Forse pochi però sanno quale sia una delle conseguenze di un tale sordido delitto, che ha condotto più o meno direttamente a una vera e propria truffa miliardaria (in lire) ai danni di una ragazza suo malgrado coinvolta nel turbinio di una vicenda dalla quale sicuramente avrebbe preferito restare fuori.
"Oltre al danno, la beffa", verrebbe da dire (oltretutto doppia, come si può capire scorrendo con un po' di attenzione le informazioni linkate sopra).

Ah beh, il truffatore non c'è bisogno di nominarlo, è sempre Lui.

sabato 28 agosto 2010

Passaggi e percorsi


Un paio di settimane fa ero a fare un trekking con mio padre in Valle Gesso, nel cuore delle Alpi Marittime.
Un gran bel giro ad anello con partenza da Entracque, attraverso il rifugio Soria Ellena, la Pera de Fener, il Passaggio dei Ghiacciai, i laghi dei Gelas e poi in discesa lungo il Vallone di Monte Colombo.
1700 metri di dislivello in salita e in discesa con un bel po' di spostamento per quasi dieci ore di gita in tutto, pause (non troppe a dire il vero) comprese. Un po' duretto ma bellissimo.




Il Passaggio dei Ghiacciai è un piccolo intaglio sulla cresta Nordovest dei Gelas, a 2800 metri. Per raggiungerlo dalla Pera de Fener (un grande masso erratico posto a quota 2700 metri) bisogna attraversare quel che resta di alcuni trai ghiacciai più meridionali delle Alpi (ormai in grandissima parte sepolti da detriti rocciosi), mantenendosi grosso modo in quota lungo tracce di sentiero e varcando qualche nevaio scosceso.


Il Passaggio, seppur piccolo, è ben visibile anche da lontano grazie a una corda con appese diverse bandierine tibetane che lo attraversa. Sicuramente e' opera di Aladar, l'insolito gestore del rifugio Federici Marchesini al Pagarì, che non si trova molto distante.


La traccia è segnalata da radi segni di vernice rossa e ancor più radi ometti di sassi impilati. A volte si perde e bisogna ritrovarla un po' a senso, fin dalla risalita della prima morena che si incontra appena sopra la Pera de Fener.

Sull'ultimo dei nevai, quello più lontano dalla Pera de Fener e anche quello che rimane più in ombra, è visibile anche da lontano una traccia, ma gli altri prendono molto sole in questa stagione, e le impronte dei rari passanti svaniscono in fretta.
Poco prima di giungere presso il bordo di uno dei più grandi di questi nevai, il sentiero si perde decisamente. Cominciamo a scendere sulla pietraia in cerca di una debole traccia sulla neve o di un buon passaggio per attraversare. A un certo punto mi fermo e mi guardo intorno.

- Papà, se io dovessi tracciare un sentiero o una traccia per andare a quel passo, ora attraverserei qua e andrei in questa direzione, vienimi dietro.

Con cautela, passo dopo passo, formando piccoli gradini sull'infida neve estiva, attraversiamo il nevaio e dopo aver messo piede sulla pietraia, a venti centimetri da me, si materializzano un segno di vernice rossa e, un paio di metri più avanti, un ometto.

Non è stato niente di eccezionale, ma per attraversare correttamente quel nevaio è stata necessaria una discreta conoscenza dell'ambiente, un minimo di tecnica, un'idea più o meno chiara di quale fosse il punto di partenza e il punto di arrivo sperato.


È come nella ricerca scientifica.
Ti muovi dapprima lungo un cammino più o meno segnalato, che pure a volte si perde, fino al bordo di una zona sconosciuta. Oltre, si palesa un percorso ignoto, che può nascondere insidie, ma che può portare a un nuovo sentiero, una nuova piccola o grande scoperta. Si tratta di guardarsi un po' intorno, e, sulla base di ciò che ci si è lasciati alle spalle e delle conoscenze maturate con l'esperienza, bisogna scegliere un percorso nuovo per attraversare il nevaio e giungere dall'altra parte, dove il sentiero magari è di nuovo più o meno malamente segnalato.
Un passo dopo l'altro, si costruisce una nuova traccia, seguendo con decisione e sicurezza la direzione scelta.

I problemi nascono quando nel mezzo dell'attraversamento si viene presi da un improvviso senso di smarrimento, come se, senza preavviso, fosse calata una fitta nebbia che nasconde i punti di riferimento. Allora si comincia a vagare con sempre maggiore incertezza per il nevaio, incapaci di riconoscere il cammino più breve, e magari si comincia a salire e scendere pericolosamente con passi sempre più incerti sulla neve, perdendo tempo ed energie.

Ecco, quando questo comincia ad accadere troppo spesso, e apparentemente nessuno è capace con un semplice gesto di indicarti quale sia il percorso migliore, forse è il momento di capire che il cammino intrapreso è tecnicamente troppo difficile, o troppo lungo, o forse semplicemente non adatto alle tue caratteristiche, conoscenze e capacità, e si può anche pensare di tornare indietro e cercare un'altra via più sicura o un altro nevaio più corto e meno scosceso.

Come altre volte, ecco qua un premio per chi ha avuto la pazienza di leggere fino in fondo!

venerdì 20 agosto 2010

Un po' di colore

Beh, dopo due anni e mezzo, e visto che quanto a contenuti ultimamente scarseggio un po', ho pensato di badare alla forma e dare una rinfrescata al look del blog.

lunedì 26 luglio 2010

Fino a ieri...


Fino a ieri pensavo che la mia migliore prestazione sportiva fosse stata la salita al Senggchuppa con gli sci quasi in solitaria, 2350 metri di dislivello, dalla strada del Sempione fino in vetta, con neve meravigliosa, tempo splendido, e pochissima gente in giro. Qui potete trovarne un riassunto.

Poi ho comprato una signora bici...


E ho cominciato a viaggare... Dopo una settimana di rodaggio, mi sentivo pronto per una piccola grande avventura. Da Meiringen, pochi chilometri oltre Interlaken, fino al Monte Verita', Ascona, e mai nome fu piu' appropriato.

Due giorni, quasi 180 Km e 3500 metri di dislivello, con un bagaglio di circa 25 Kg: l'occorrente per una settimana di conferenza, e un weekend a seguire di trekking e campeggio.

Il primo giorno prevedo il passaggio del Grimselpass. Qui potete consultare il percorso.
Il Grimselpass era in realta' chiuso per una grossa frana, ma un simpatico vecchino, vedendomi sconsolato di fronte alla sbarra che serrava il passaggio, mi avvicina e suggerisce:

"Es gibt eine andere möglichkeit!"

C'e' un'altra possibilita'.

Attraversare il suo allevamento di pecore, percorrere un ripido sentiero di montagna trascinando la bici per qualche centinaio di metri, e ricongiungermi alla strada principale sopra la frana. La giornata era da tregenda, acqua fin dalla partenza e decisamente freddo per essere il 24 luglio. Ma la salita al Grimselpass in totale solitudine e' stato qualcosa di impagabile. Nessuna macchina, nessun ciclista, niente autobus giallo della posta.
In cima il vento forte, la nebbia e il freddo pungente, i vestiti zuppi e la discesa vertiginosa verso Gletsch.
Nonostante tanti anni di scialpinismo, a 3000 e 4000 metri, in inverno, non avevo mai sentito cosi' freddo in vita mia...

Manca la foto di rito sotto il cartello che annuncia il passo semplicemente perche' avevo troppo freddo alle mani per riuscire ad aprire la borsa da manubrio e prendere la macchina fotografica.

Secondo giorno: partenza da Gletsch per valicare Furka e Gotthard, prima della discesa verso Bellinzona, gli estenuanti saliscendi fino a Locarno e infine "il mostro finale" la ripidissima ascesa al Monte Verita'. Breve ma intensa, dopo 135 Km e oltre 1500 metri di dislivello. Ecco qua una mappa.

Ancora molto freddo sul Furka, ancora in solitudine vista la partenza oltremodo mattiniera (ma la giornata si annunciava assai lunga) ma niente piogga, solo nebbia, e poi, all'avvicinarsi del tanto atteso spartiacque principale delle Alpi, ecco finalmente il sole, la splendida ascesa al San Gottardo, con la vertiginosa discesa su 8 Km di pave' (altro che Muro delle Fiandre!).

E infine l'arrivo ad Ascona, il lago, il sospirato gelato, l'abbraccio con chi immaginava, ma non sapeva, come sarei arrivato. E infine l'ultima fatica, Monte Verita', in nomine res, e gli ultimi metri tra i sorrisi e i brevi incitamenti di chi a quel punto mi aspettava in cima :).

La bicicletta come sinonimo di liberta' e conquista, freddo e sudore, fatica e gratificazione, sorrisi a volte amari all'attraversare luoghi che forse avrebbero potuto assumere un altro significato.

Ma questa e' un'altra storia...

PS Resoconto fotografico piu' completo fra qualche giorno, queste foto sono fatte col cellulare e la qualita' e' quella che e'...






venerdì 25 giugno 2010

Viaggiare in treno nel terzo millennio

Ero un po' in ritardo, come sempre del resto.
In Italia c'è sciopero dei treni (ovviamente di venerdì) quindi prendere il treno "ex-Cisalpino" delle 13.35 da Berna era indispensabile per riuscire a essere a casa per cena, consegnare un regalo, vedere qualche amico e andare a letto a un'ora decente in previsione di un sabato "mari e monti".

Alle 13.15 ero ancora a casa.
Le Ferrovie Svizzere hanno pubblicato una bellissima applicazione per i fortunati possessori di iPhone che permette di consultare l'orario ferroviario di mezza Europa e comprare direttamente il biglietto per tragitti in Svizzera, o fino alla prima stazione oltreconfine.
Il biglietto resta "sul telefono", quando passa il controllore gli si mostra una specie di codice a barre e lui con il suo scanner verifica che sia tutto a posto.
Aaaah, la tecnologia!
Così salgo sul tram al volo, e mentre raggiungo la stazione compro il biglietto fino a Domodossola. Una volta sul treno, il controllore mi fa il biglietto fino a Milano senza sovrapprezzo. Il primo step e' passato.

Il Cisalpino dovrebbe arrivare a Milano alle 16.40, l'Intercity per Ventimiglia dovrebbe partire alle 17.00. 20 minuti dovrebbero essere abbastanza. Il condizionale e' d'obbligo con Trenitalia.
Ovviamente fino a Domodossola il treno è puntuale, ma nella successiva ora e venticinque di viaggio riesce ad accumulare ben 7 minuti di ritardo.

Mi restano 13 minuti.
La "nuova" stazione di Milano è un gran casino, tantissima gente un po' psicodispersa, come sempre da queste parti, e in prossimità dei binari solo 4 macchinette automatiche per fare il biglietto, peccato che una non funzioni… il 75% di efficienza è comunque già un discreto risultato.

Sei o sette persone in fila per macchinetta, troppe mi sa, tento il diversivo: vado in cerca della biglietteria dove mi aspetto di trovare una batteria di macchinette automatiche. A parte che per trovare la biglietteria devi scendere due piani e sei obbligato a scorrere il corridoio pieno di boutique, la batteria di macchinette c'è, ma ci sono anche almeno 10 persone in fila per macchinetta. Cerca cerca, ne trovo una un po' imboscata con solo una persona. Biglietto velocissimo, rincorsa per i corridoi, e i canonici 3 minuti di ritardo Trenitalia questa volta mi vengono in soccorso.

Salgo sulla carrozza 1, e comincio la mia lenta processione verso la carrozza numero 6, posto 43, questo treno dovrebbe essere a prenotazione obbligatoria (ancora una volta, indispensabile il condizionale).

C'e gente ammassata nei corridoi e presto se ne capisce il perché. La carrozza numero 3 è chiusa, non va l'aria condizionata e non la aprono. A Rogoredo pellegrinaggio giù dalla carrozza 2, attraverso il marciapiede, per raggiungere ciascuno la sua destinazione. La carrozza 6 è ancora più piena della 2, tutto il corridoio occupato. Benissimo. Slalom fra borse, seggiolini, signore imbellettate, dirigenti liguri in camicia che tornano a casa per il weekend, eccetera. Fa un po' caldino su questa carrozza, mi dico. Ma forse in corridoio l'aria condizionata non arriva.

Ecco che raggiungo lo scompartimento quattro, mi siedo, e comincia la sauna! Eh no, l'aria condizionata anche qui non va, i finestrini sono sigillati, siamo tutti a fare la sauna!
Bello bello in modo assurdo direi.

Sono le 18.01, arrivo previsto alle 18.42, vediamo con quanto ritardo arriviamo, che qui ogni minuto sono un paio di decilitri di sudore…
(comunque la vedo male, siamo in aperta campagna e viaggiamo sui 50 - 60 all'ora…)

[UPDATE: per la cronaca, il treno è arrivato con soli 14 minuti di ritardo...]



Ai posteri l'ardua sentenza

Premessa: io dell'arte contemporanea ci capisco poco.
L'unica volta che ne ho veramente goduto è stata quando un'amica che "ne sa", mi ha portato al Museo di Arte Moderna di Zurigo.

Art Basel è un'importante esibizione di arte contemporanea che si tiene ogni anno a Basilea.
Susanna lavora a Barcellona in una galleria e ci viene tutti gli anni: così scatta l'occasione per un rendez vous di "Italiani in Svizzera (o giù di lì)".

Il rendez vous è stato piacevole, e la visita alla fiera satellite dove lavorava Susanna in qualche maniera anche gratificante.

Sí insomma, c'erano naturalmente un sacco di "cose" strane, alcune certamente manifestavano una forte espressività, sebbene io forse non sia in grado di coglierne benissimo le corde, altre sembravano una pura provocazione, e pure in queste uno ci può trovare un senso: per quanto alcune fossero intense e "disturbanti", credo che in qualche maniera riuscissero a instaurare un dialogo fra l'autore e il fruitore dell'opera.

Poi c'erano delle cose che io proprio non riesco a capire. Ora va bene l'arte contemporanea, lasciamo perdere l'arte figurativa eccetera, però ecco, come può una luce al neon di vari colori, dal violetto al verdino, disposta verticalmente su una parete semioscura essere chiamata "arte"? Voglio dire: cosa esprime questa luce al neon? cosa vuole comunicare l'artista? perché è questo che dovrebbe essere l'arte, no? comunicazione, espressione, condivisione, altrimenti è una cosa un po' fine a stessa.


Magari è una luce di "design", benissimo, forse un po' meno arte, però almeno il design dovrebbe essere un minimo funzionale, ma proprio un minimo minimo. Quella luce va benissimo in un ambiente tipo "disco lounge", e pure in un privé di qualche club magari un po' ambiguo, ma se costa trentamila dollari magari non la vorresti sprecare così, no?

La cosa positiva di questa visita è stata che mi è sembrato di rivalutare l'utilità e la sensatezza del mio astrattissimo lavoro di fisico teorico…

Per la cronaca l'autore e' tal Laddie John Dill, e l'opera è del 1970. Se qualcuno vuole scagliarsi contro la mia ignoranza è benvenuto. Mi scuso per la foto che non è di ottima qualità e sicuramente non rende giustizia al genio dell'autore, ma l'ho fatta con un telefonino, sebbene di design.

giovedì 24 giugno 2010

domenica 20 giugno 2010

I agree, Mr. Fenner!

Allora, tale Professor Fenner ha dichiarato che secondo lui l'umanita' ha i giorni, pardon, gli anni contati.

Ecco, io sono anni che lo dico, portando proprio gli stessi argomenti, e ora arriva lui, solo perche' ha 95 anni ed e' professorone e tutti gli danno retta!

Ipse dixit.

Qui l'articolo del Corriere in italiano, e qui l'articolo originale sul "The Australian".

La voz de un amigo


- Es que eres un Sabina, tío!

DB


venerdì 21 maggio 2010

Si riparte

A 4 settimane dalla PDG, e' tempo di rimettere sci e pelli.
Saas Fee - Allalinhorn - Alphubel - Saas Fee, in due giorni.

Wish us good luck!

Ale'!

martedì 18 maggio 2010

Di contorni e disegni

A volte dimentichiamo che c'è qualcosa al di là del nostro corpo che ha bisogno di essere ascoltato e curato, a volte dimentichiamo che siamo noi i migliori medici di noi stessi e finiamo per affidare la nostra cura ad una persona che riteniamo più adatta ad essa, perché la riteniamo investita di autorità e autorevolezza, o semplicemente perché crediamo di poterci specchiare meglio negli occhi di un altro.

Ma se uno specchio aiuta a vedersi, restano i nostri occhi a contemplare quell'immagine riflessa. Al voler guardarsi con gli occhi di un altro, si perde il confine e l'identità di sé, tutto diventa sfumato e incerto, almeno fino a quando non si riesce a voltare lo specchio, senza perdere l'immagine di sé.

Certi giorni poi, ci sembra di cadere in un buco nero.
Tutti noi a tratti possiamo percepire un grande calore che ci attira e ci impedisce di cadervi dentro.
Ma il calore, questa luce che ci tiene in ballo, può anche spegnersi o allontanarsi. Ed è proprio in quel momento che incominciamo a sbilanciarci e a cadere...

É in quei giorni che la nostra volontà rischia di confondersi e di divenire frutto del nostro squilibrio psicofisico, delle nostre delusioni e frustrazioni; siamo spinti ad attaccarci a qualcosa e a nutrire desideri che non sono ciò di cui abbiamo davvero bisogno, anzi, spesso ci sono nocivi. Si può imparare a distinguere ciò che va bene per se stessi e a riconoscere che in ogni fase della vita i bisogni cambiano e, se non si resta aperti agli altri e al mondo, ci si inaridisce. Al tempo stesso non bisogna svalutare le doti naturali che, sia come esseri umani, sia come persone uniche e irripetibili, ci sono state date donate, da chi o da cosa, non ha importanza. I talenti andrebbero messi a frutto, solo che a volte non solo è faticoso farli fruttare, ma è anche difficile riconoscerli, o accettarli per quello che sono.

A volte, quando ci sentiamo dispersi e soli, cominciamo a vagare nella ricerca di un'appiglio e la ricerca corre in ogni direzione e in ogni tempo, perché le domande che ci poniamo sono sempre le stesse e la risposta può stare nel luogo più lontano, nel tempo più remoto, oppure proprio davanti ai nostri occhi, nell'immagine di una finestra che si apre sulla città, nel suono della pioggia che batte sul tetto e di quello delle travi che scricchiolano, nel gioco di un giorno che poi diventano due e poi cento e poi smetti di contarli, nell'odore che rimane, e non se ne va.
Ma anche in un luogo ancora più vicino eppure spesso difficile da raggiungere, un luogo che spesso ci rifiutiamo di visitare, chissà poi perché…

Forse perché noi Occidentali, difendendo la nostra identità culturale, sbandierandola come inevitabilmente cristiana, di fronte a un evento qualsiasi, concentriamo la nostra attenzione nello scoprirne le relazioni di causa ed effetto, quando gli orientali, davanti a ciò che succede, si chiedono piuttosto "cosa significa ciò che osserviamo? di quale realtà nascosta può essere simbolo?".

Così, il risultato di un gioco di bastoncini o il lancio di tre monete, per noi rappresenta una casualità statistica senza significato in sé, mentre in Oriente rappresenta la fotografia irripetibile di un istante universale, la cui codifica è scritta in un libro che parla di 64 segni composti di linee spezzate e continue.

Ma dimentichiamo spesso che anche il Cristianesimo, per origine e tradizione, è anzitutto una religione orientale, una religione mistica. Essere cristiani non è solo fare della morale condita da noiose preghiere. Migliaia, forse milioni di persone sono assetate di quella mistica "orientale" in margine alla nostra società del consumismo che a tratti finisce col perdere il senso della vita. Sarebbe fin troppo facile fare dell'ironia sul sincretismo spesso superficiale, sul sentimentalismo e l'orientalismo New Age da bar, sfruttato da tanti sedicenti guru di dubbia affidabilità.
Le molteplici Chiese d'Occidente, in quanto, per lo meno in teoria, portatrici e custodi della nostra cultura dello spirito, invece di riderne o sorriderne farebbero forse meglio a fare un loro esame di coscienza: di chi è la colpa se molti sono in qualche modo costretti a ricorrere al Tao o allo Zen per riscoprire verità che pure fanno parte fin dall'origine del nostro patrimonio cristiano?
La mistica è una posizione esistenziale, un certo modo di essere in profondità e non è proprietà privata di nessuna religione e di nessuna Chiesa.
Esistono persino dei mistici atei…

A volte però, anche i loro contorni sfumano, e si perdono nella nebbia.

(le parole in corsivo sono ispirate o tratte da quelle di LB, V. Marchini, P. G.V. Cappellotto, J.C. Barreau, O. Clement, T. Spidlik)

giovedì 13 maggio 2010

Wishlist



I wish I was a neutron bomb
for once I could go off
I wish I was a sacrifice
but somehow still lived on
I wish I was a sentimental
or ornament you hung on
the Christmas tree, I wish I was
the star that went on top

I wish I was the evidence
I wish I was the grounds
for fifty million hands upraised and opened toward the sky

I wish I was a sailor with
someone who waited for me
I wish I was as fortunate
as fortunate as me

I wish I was a messenger
and all the news was good
I wish I was the full moon shining
off a Camaro's hood

I wish I was an alien
at home behind the sun
I wish I was the souvenir
you kept your house key on

I wish I was the pedal break
that you depended on
I wish I was the verb to trust
and never let you down


I wish I was a radio song
the one that you turned up
I wish ...

!!!


Che faccia ha questa nuvola? Cosa nasconde?

L'ho trovata qua...


lunedì 10 maggio 2010

Il piacere della scoperta

A volte l'abitudine fa sparire la meraviglia. È forse quello il giorno in cui si comincia a invecchiare, o forse solo a crescere.

Spesso una cosa semplice come il ticchettio della pioggia sul tetto o lo scricchiolio delle travi di legno, è densa di signficati e sensazioni, scrive in pochi minuti pagine di una storia che si sa quando è cominciata ma magari non si sa quando finisce.

domenica 9 maggio 2010

E' tornata...

... in mezzo alle pulizia di primavera, che qui in Svizzera, si sa, arriva un po' piu' tardi, e' rispuntata la busta con la foto di Alberto.
Ora e' tornata al suo posto nel mio zaino marrone.

"... troppo forte e intenso perché io possa anche solo provare a commentare"

"...anche io spesso mi ritrovo a pensare Alberto..."

"Sapevo che prima o poi sarebbe successo.
Che sarebbe arrivato un giorno in cui ne avremmo riparlato tutti assieme"

"Ciao Alberto"

"Un abbraccio"

giovedì 6 maggio 2010

Per noi, con parole mie...

Si chiamava Alberto.
Era magro, schivo, aveva sempre i capelli corti e un po' di barba.
C'era sempre il suo nome tra i primi nelle liste dei risultati degli esami. In mezzo a quelli dei normalisti, un altro paio, e poi, dietro, tutti gli altri.
Io non riuscivo a capire chi fosse quel Maggi... si nascondeva, almeno ai miei occhi, Alberto Maggi.
Poi, facevamo il terzo anno, qualcosa e' cominciato a cambiare. Com'era successo due anni prima con un altro che era fatto della stessa pasta, Enrico, quasi le stesse parole: "Piacere, finalmente". E un sorriso.

Alberto viveva a Guasticce, vicino a Livorno. Faceva avanti e indietro tutti i giorni. Finalmente una volta lo invitai a pranzo. Ci siamo trovati: era come me, solo un po' meglio. Piu' preciso, piu' lucido, piu' posato, piu' chiaro.

Era la persona perfetta per il nostro "ritiro" a Zuccarello. Io, Alberto, Chiara e Brynmor: due settimane, forse tre.
"Studio matto e disperatissimo", hamiltoniane e autofunzioni, autovalori e potenziali, una partita a calciotennis sul grande terrazzo, una scappata al mare.
La volta bianca del mio lettino e l'odore di umido come solo in certe vecchie case liguri.
E certi momenti di comprensione profonda, certi momenti perfetti, e poi trascinavamo quella sensazione fino alle giostre delle saghe paesane, quando i contorni sfumavano e divenivano formule e numeri, lettere ed equazioni.

E poi siamo tornati a Pisa e un'altro anno e' passato, in mezzo a teoremi ergodici e C*-algebre, Morchio che tartaglia e Di Giacomo che pontifica.

Ci riproviamo, torniamo a Zuccarello un anno dopo. Alberto non viene, quell'esame avrebbe voluto prepararlo con piu' calma in autunno.

Era il principio di agosto, o forse di settembre. Arriva una mail di Alberto.
"Ho la leucemia" c'e' scritto.

Eravamo in cento al primo anno di Fisica a Pisa nel 1998. Due hanno avuto la leucemia, Alberto e Daiana, un altro una strana malattia autoimmune che poi e' svanita da sola, o quasi. Qualcosa non torna in questi numeri, me lo ripeto da quasi 10 anni. Ma me lo ripeto e basta, finisce la'.

Cominciano due anni di speranze e delusioni. Andavo a trovarlo quasi tutte le settimane, quando non era troppo debole per la chemio, a Guasticce, in quella casa dove non ero mai stato prima, quando stava bene.

Chiaccheravamo di tutto, di matematica e fisica, di medicina, ovvio, di politica e sport. Alberto era interista, come molti a Livorno, erede di una tradizione che risale ad Armando Picchi. Anche in questo eravamo simili: il Genoa e l'Inter (che poi Alberto, hai visto che roba l'Inter quest'anno? e Milito? te l'avevo detto che era forte, no? che regalo che vi abbiamo fatto... dovreste almeno ringraziarci!)
Era appassionato e concreto, ironico e acuto, elegante, a modo suo, e severo. Con tutti, con tutto.

A volte Chiara mi accompagnava, restava discretamente in macchina ad aspettarmi, mezz'ora, un'ora. Quelli erano momenti solo per noi.

La prima pagina della mia Tesi di Laurea ha solo due righe, in corsivo, allineate a destra:

ad Alberto,
aspetto di leggere la tua

Poi sono partito per Trieste.
Il sacro fuoco era spento ormai, ma restava qualche tizzone. Gia' mi domandavo se ne valesse la pena. Quante volte ho desiderato che Alberto fosse li', uno di quei posti sarebbe stato suo, di chi altri se no? ma chissa', forse non lo avrebbe voluto... era fatto a modo suo Alberto.
E chissa', se fosse venuto, forse molto sarebbe stato diverso.
Ricordo le decine di volte che pensavo: "Questa cosa posso capirla solo insieme ad una persona, Alberto". Ma lui aveva problemi piu' importanti da affrontare.

Una volta mi disse che non gliene fregava piu' niente, che erano tutte fregnacce, che quando sarebbe guarito si sarebbe iscritto a medicina, che i medici non capivano un cazzo di quello che facevano.
Mi disse che Daiana era stata in un centro di Bergamo: con un'analisi del primo campione di midollo, prima della prima chemio, formulavano una terapia su misura. Daiana e' guarita.
Il "primo campione" di Alberto l'avevano a Firenze, a Careggi. Anzi no, non l'avevano piu', l'avevano buttato via. Inutile, secondo loro.

Una volta, in uno di quei momenti in cui un'equazione suona come un accordo e senti un po' di quell'illuminazione, di quella comprensione lucida e perfetta e vera, di quell'alito leggero che e' il vero motivo per cui facciamo questo lavoro, mi misi davanti al computer e gli scrissi.
"Alberto, c'e' tanto di bello anche fra le nostre carte, c'e' tanto di vero. Ne vale la pena, e c'e' bisogno di te. Fa' presto a tornare".

Un po' stava bene e un po' stava male, andai una volta a trovarlo a Careggi. L'umore, il tono delle nostre conversazioni era lo stesso di quelle a casa sua. Non si lasciava scoraggiare.

A luglio, due anni dopo essersi ammalato, sembrava che stesse meglio. Forse era fuori.
Ad agosto del 2004, ero sul grande letto di Trieste, con Chiara, era una giornata di sole, luminosa come poche, la luce e il mare entravano dalla finestra.
Risposi al telefono, mi alzai in piedi sul letto, era Giacomo, il Presidente, come lo chiamava Alberto.

"Alberto non ce l'ha fatta"

Alberto e' morto di un'emorragia cerebrale, in poche ore, quando tutto sembrava dire che ormai ce l'aveva quasi fatta.

Due giorni dopo eravamo tutti a Guasticce.
Mi ricordo sua madre:

- Beppe, il suo cervellino, cosi' bello, tutto pieno di sangue, tutto pieno di sangue... mi diceva "Io voglio capire ancora tante cose mamma, ci sono ancora tante cose da capire"

- Ora sa tutto, ora sa tutto, non ti preoccupare... stai tranquilla che sa tutto ora...

Ci siamo mossi in molti perche' prendesse quella laurea che meritava.
L'ebbe, un anno dopo, o giu' di li'.
Enore Guadagnini, quando fece il discorso di consegna, disse, piu' o meno:

"Il bene che ha fatto una persona si misura da quante persone sono pronte a fare qualcosa per lui.
A giudicare da quanti siete qua oggi, a giudicare da quanto voi ragazzi avete fatto in questi mesi perche' questo giorno arrivasse, Alberto, anche se ha avuto solo 25 anni per completare il suo percorso, lo ha compiuto fino in fondo. A certe persone non basta una vita per avere tanto affetto intorno a se' come quello che si sente oggi in quest'aula".

Non ricordo se piansi, non ricordo davvero. So che ora non riesco a trattenere le lacrime, e non so perche' proprio stasera ho sentito il bisogno di raccontare questa storia.

Quel giorno, la madre di Alberto diede a ciascuno di noi una busta con una sua foto, la tengo sempre nel mio zaino marrone... Quando vedo tutto nero e mi sembra che niente abbia senso la guardo, la sfioro con due dita senza aprirla, e ritrovo un po' di forza.
Non ricordo esattamente cosa ci sia scritto dietro quella foto...
...il mio zaino marrone, lo porto sempre con me, tre settimane fa mi si e' aperta una bottiglia di detersivo che avevo preso al supermercato dentro il mio zaino marrone... ho tolto tutto per lavarlo, anche la busta, non si era macchiata ma ora... non c'e' piu', non c'e' piu'! Dove ho messo la busta? La mia stanza e' un disastro, non la trovo, dev'essere finita in mezzo a mille carte, ecco forse perche' stasera ho sentito questo bisogno, era un po' che non vedevo la busta nella tasca del mio zaino, ero sicuro di avercela rimessa ma non c'e'!

Ora corro a cercarla, aspetta Alberto, non ti arrabbiare, vengo a cercarti, aspetta, vado...

mercoledì 5 maggio 2010

Per noi



Yes I understand that every life must end, aw huh
As we sit alone, I know someday we must go, aw huh
I'm a lucky man to count on both hands the ones I love
Some folks just have one, Others, they got none, aw huh
Stay with me, let's just breathe.

Practiced are my sins never gonna let me win, aw huh
Under everything, just another human being, aw huh
Yeh, I don't wanna hurt, there's so much in this world to make me bleed.
Stay with me, you're all I see.

(Chorus) Did I say that I need you?
Did I say that I want you?
Oh, if I didn't I'm a fool you see
No one knows this more than me.
As I come clean

I wonder every day as I look upon your face, aw huh
Everything you gave and nothing you would take, aw huh
Nothing you would take... everything you gave.
CHORUS...

Nothing you would take.. everything you gave.
Hold me till I die, meet you on the other side


Un giorno qualunque

giovedì 29 aprile 2010

Com'e' andata alla PDG?



In poche parole, e' andata che eravamo al limite, e la linea tra il farcela e il non farcela era davvero sottile.
Un imprevisto forse non sarebbe bastato a farci finire fuori, ma due o tre si'. Per qualcuno poi, l'avvicinamento degli ultimi giorni non e' stato facilissimo, e sicuramente ha portato via un po' di energie, psicologiche molto prima che fisiche.

I due giorni immediatamente precedenti alla gara sono stati perfetti. L'atmosfera a Zermatt era splendida, difficile da descrivere, fra l'eccitazione dei partecipanti, il brulicare degli organizzatori, l'ammirazione e la curiosita' dei turisti e dei sostenitori. Bello.
E' un evento nazionale in Svizzera, conosciuto da tutti, trasmesso in televisione, si diventa un po' famosi e un po' eroi.
L'organizzazione e' stata esattamente come ci si aspetta dall'esercito svizzero: meticolosa e precisissima. Veramente un meccanismo ben oliato e gestito senza intoppi, dall'inizio alla fine.

La corsa prevedeva una prima salita di circa 2000 metri di dislivello e 17 Km di sviluppo, fino in cima alla Tete Blanche, divisi in due tronconi da 1000 metri: il primo fino a Schonbiel di un po' meno di 9 Km, poi i restanti 8 abbondanti. Bisognava essere a Schonbiel entro 3 ore dalla partenza, per noi avvenuta alle 22 di venerdi' sera. Potete controllare l'altimetria di tutta la gara nell'immagine qui sotto (che tuttavia presenta un errore: il Pas du Chat non e' ovviamente alto 2919 metri come il Col du Riedmatten ma circa 300 in meno).


La notte era serena, la risalita verso la Tete Blanche davvero spettacolare, si gira intorno alla parete Nord del Cervino, visibilissima anche alla debole luce della luna e delle stelle. Meraviglioso.

Per i primi 600 metri siamo andati a piedi, chi in scarpe da ginnastica, chi in scarponcini da trekking, gli sci infilati nello zaino, con gli scarponi gia' agganciati. La partenza da Zermatt e' stato forse il momento piu' emozionante. Si sfila per tutto il paese letteralmente fra due ali di folla che applaude. Si', ci si sente davvero un po' "eroi".
Per piu' di meta' del tratto a piedi rimaniamo nel gruppone. C'e' un silenzio quasi irreale, nonostante le circa trecento persone che si snodano sul sentiero. Camminiamo a passo sostenuto, si sente solo il crepitio delle suole delle scarpe sulla terra, mi sorprendo a notare come questo cambi quando ci avviciniamo a un tornate, come se tutti insieme riprendessimo fiato per un istante. Ogni tanto, da una malga, spunta qualche sostenitore a incitarci: tutti quanti, indistintamente.
Un respiro, un colpo di tosse, qualche breve scambio di parole.
In poco piu' di un'ora e mezza siamo a Staffal, dove si possono lasciare le scarpe e si calzano gli sci. Il tempo non e' male, ma c'e' gia' stato il primo intoppo.
Dopo circa un'ora di cammino, improvvisamente lo zainetto della Camp di Diego cede: il laccetto che tiene gli sci si sfila e questi precipitano all'indietro. Non c'e' molto tempo per ripararlo e non manca moltissimo al cambio scarpe, ma in realta' neanche poco, circa 220 metri di dislivello, con pendenze pero' da "strada statale".
Quando sento Diego urlare qualcosa e mi giro per vedere cosa sta succedendo, mi rendo conto che un fiume di persone ci supera, saranno almeno 30 o 40. Li' per li' ci sembra che l'incidente non ci abbia fatto perdere molto tempo, ma in realta' perdiamo contatto con una buona parte del gruppo di squadre che hanno piu' o meno il nostro passo. Molti che stavamo tenendo dietro ci sfilano e poi ci sfuggono. Questo piu' avanti ci costera' caro.

Da Staffal, calzati gli sci, si prosegue lungo un interminabile pianoro ai piedi del Cervino. Abbiamo giusto il tempo di volgere un rapido sguardo alla sua vertiginosa parete Nord che ci sovrasta, poi finalmente si ricomincia a salire. Qui forse commettiamo un piccolo errore tattico. Superiamo due pattuglie appena comincia la salita. Lo sforzo e' probabilmente eccessivo, rispetto al guadagno che ci consente. Io rallento per recuperare, una delle due pattuglie mi risupera, mentre Alessio e Diego proseguono davanti, guadagnando circa uno o due minuti su di me. Mentre li vedo allontanarsi lentamente comincio a pensare che se loro vanno cosi', per me e' troppo.
Mi aspettano, Diego sembra bello fresco, Ale un po' meno, come me. Puo' darsi che abbiamo esagerato un po', ma non troppo, e possiamo recuperare. Siamo andati bene. Arriviamo a Schonbiel dopo 2h35m circa. Riposiamo un poco, mangiamo qualcosa, ci leghiamo e passiamo il cancello dopo 2h49m. Siamo giusti, come ci aspettavamo. A posteriori crediamo che l'incidente di Diego ci possa essere costato circa 5 minuti, forse qualcosa di piu'. Ma soprattutto, come detto, ci fa perdere contatto con un bel po' di squadre alla nostra portata. Probabilmente questo e' stato cruciale.

Nella cordata da tre io mi trovo al centro. Abbiamo studiato questa disposizione per ottimizzare la discesa.
Alessio parte in testa ma qualcosa non va. Non riusciamo a tenere un ritmo sufficiente. Diverse squadre ci sfilano facilmente, comprese le due che avevamo superato dopo il lungo pianoro. Quando Diego si mette davanti le cose cominciano ad andare meglio, teniamo un ritmo ragionevole. Recuperiamo anche qualche posizione.
Secondo piccolo problema tecnico: sbaglio a ruotare l'alzatacco e mi ritrovo col tallone bloccato. Devo togliere lo sci e rimetterlo in posizione di salita. Perdiamo circa 2-3 minuti. Alla fine conteranno tutti quanti. Perdiamo contatto con un'altra squadra che procedeva grosso modo al nostro ritmo.
Ale ripassa in testa, ma ancora non riusciamo a tenere il passo giusto. C'e' un problema con le pelli di foca che sembrano non avere il giusto grip e nel punto piu' ripido di tutta questa prima salita scivolano. Ale decide di togliere gli sci e proseguire per un tratto a piedi. Ormai siamo raggiunti da numerose squadre che sono partite un'ora dopo di noi. C'e' molta congestione sulle due tracce di salita, mentre moltissime pattuglie ci superano. E' il momento peggiore. Non riusciamo a ripartire. Perdiamo molto tempo, forse 20 minuti, e qualche energia psicologica in un battibecco con un'altra squadra che, nel nostro momento piu' critico, tenta di superarci maldestramente e con fare piuttosto arrogante. Vengono meno un po' di concentrazione e fiducia e prendiamo freddo.

Quando Diego prende nuovamente la testa, ripartiamo con un buon ritmo. Ma anche per lui non e' facile. Psicologicamente, e in parte anche tecnicamente, seguire e' naturalmente piu' semplice.
Visto che avevamo deciso che io mi sarei legato nel mezzo, sono rimasto davanti quasi sempre dalla partenza fino alla fine del pianoro dopo Staffal, dove abbiamo effettuato quell'azzardato doppio sorpasso. Per questa fase, da Schonbiel alla Tete blanche, avevamo invece previsto cambi in testa fra Diego e Alessio, ma date le condizioni e' sempre Diego ad andare avanti. Questo ci costa ancora qualche minuto, diciamo circa 5, chissa' anche qualcuno di piu', soprattutto perche' finiamo per fare una o due pause in piu' di quelle che erano necessarie. Forse sarebbe stato meglio cambiare le posizioni in cordata subito dopo Schonbiel, ma e' un'opzione che colpevolmente non avevamo discusso, e non e' affatto certo che il tempo perso nelle operazioni di corda sarebbe stato riguadagnato grazie a cambi piu' frequenti.

Verso la fine della salita compiamo un secondo errore tattico, dettato soprattutto dal fatto che non avevamo potuto provare il percorso prima (l'avevamo programmato intorno al 20 marzo, ma le condizioni di neve e meteo pessime ci hanno fatto desistere): ci fermiamo in cima a un piccolo colle che in relta' dista molto poco dal checkpoint. Avremmo dovuto tenere duro ancora dieci minuti, risparmiando una pausa e forse altri 5 minuti.

Passiamo il checkpoint della Tete Blanche alle 3:59, dopo 6 ore di marcia. E' un tempo molto buono in assoluto, per una gita, (sulla mia guida svizzera viene dato per questa salita un tempo di 9 - 10 ore, e non e' una guida per merenderi!): quello che costa molto tempo e' soprattutto il grandissimo sviluppo: ben 17 Km!

Avevamo studiato i cancelli successivi e sapevamo che saremmo dovuti arrivare alla Tete Blanche intorno alle 3.30 per stare tranquilli, abbiamo accumulato mezz'ora di ritardo, e le ragioni piu' o meno sono quelle di cui sopra. Siamo forse leggermente abbattuti; l'unico modo che abbiamo per provarci ancora e' buttarci giu' il piu' velocemente possibile, ma ecco che accade l'imprevisto piu' penalizzante: la lampada frontale di Alessio e' scarica!
Avevamo discusso l'opportunita' di portare delle pile di ricambio ma alla fine non lo abbiamo fatto. Questo e' stato molto probabilmente l'errore piu' grave, l'unico che avremmo potuto evitare con facilita' e forse quello che ci e' costato piu' tempo.

Affrontare la discesa senza lampada frontale diventa complicato. Praticamente tutte le squadre, escluse quelle di professionisti e semiprofessionisti, impiegano circa 50 minuti ad arrivare al successivo checkpoint, al Col du Bertol, dopo 450 metri in discesa, ripellata, e altri 100 in salita. Noi impieghiamo 1h10m. Ovviamente in discesa siamo molto lenti, dopo essere stati molto lenti anche a ripartire dalla Tete Blanche, anche perche' una volta realizzato che una luce non va, capiamo che quasi certamente ormai siamo fuori. Inoltre anche Diego ha un problema con l'attacco nel momento di ricominciare a salire (si era congelato e non si riusciva a bloccare in posizione di salita). Se ne vanno cosi' almeno altri 25 minuti.
Al Col du Bertol siamo stati ormai raggiunti e superati da moltissime pattuglie molto piu' veloci di noi. Siamo tra gli ultimi del gruppo in partenza alle 22. L'accoglienza e' meravigliosa: militari, medici e paramedici ci passano il the caldo, si informano sulle condizioni di salute, ci incitano, ci aiutano a slegarci, a togliere le pelli, a ripartire, sanno che siamo al limite per essere dentro e provano a dare una mano per non farci uscire.

La discesa dal Col du Bertol e' molto ripida all'inizio. Ormai abbiamo perso parecchia motivazione, e per Alessio e' veramente difficile scendere, nonostante io e Diego tentiamo di illuminargli il piu' possibile la via e ormai stia cominciando ad albeggiare. Perdiamo altri 15 - 20 minuti. In totale nel tratto Tete Blanche - Arolla perdiamo 35 - 40 minuti. Ormai il ritardo accumulato per cause tecniche e' di 60 - 70 minuti. Arriviamo ad Arolla alle 6:26. Il cancello di Riedmatten e' alle 8:30 ed e' situato poco sotto l'omonimo colle, solo 800 metri sopra di noi. Sebbene un po' provati psicologicamente dagli imprevisti, fisicamente stiamo ancora bene, e sappiamo che possiamo farlo in 1h45m. Il cancello seguente, l'ultimo, alla Barma, e' alle 10:30, e praticamente tutte le squadre del nostro livello impiegano circa 5 ore per arrivarci da Arolla. Noi ne abbiamo 4. Non abbiamo chance. E se anche forzassimo per recuperare un'ora (su cinque non e' poco!) arriveremmo completamente sfiancati, e ci mancherebbero ancora mille metri di dislivello per arrivare a Verbier, tra cui l'impegnativa risalita del Couloir de la Rosablanche.
Inoltre, Alessio non sta bene, l'unica opzione sarebbe proseguire in due, solo io e Diego (e' ammesso dal regolamento), pero' e' un'opzione che in realta' non abbiamo mai preso in considerazione. Abbiamo sempre agito come una squadra e come una squadra avremmo voluto arrivare in fondo.
Decidiamo di ritirarci.

Se avessimo voluto tentare il tutto per tutto, quando ci siamo accorti che una luce non funzionava, avremmo dovuto proseguire in due fin dalla ripartenza dalla Tete Blanche, ma, in verita', a nessuno di noi tre e' venuta in mente questa possibilita'. E' un segno del valore che avevamo dato a questa sfida: ci sentivamo in quel momento e ci siamo sempre sentiti una vera squadra.

E' stata una splendida avventura: nessuno di noi tre e' mai stato cosi' fisicamente e tecnicamente preparato, eravamo dentro, con un po' di fortuna saremmo arrivati a Verbier. Ora abbiamo un grande bagaglio da portare con noi. Abbiamo corso insieme all'elite mondiale di questo che si avvicina di piu' a uno sport che allo scialpinismo come lo conosciamo: perde infatti ovviamente buona parte del suo tradizionale carattere alpinistico. E' un'altra cosa, ma e' comunque una sfida fisica e psicologica, una lunga cavalcata in montagna, attraverso scenari grandiosi.

Se togliamo anche solo 60 minuti di ritardo accumulato per cause tecniche (una stima per difetto), saremmo arrivati ad Arolla alle 5h25m, al limite ma comunque in tempo per farcela. Cinque ore fino alla Barma (900 metri di dislivello in salita, 500 in discesa ma con vari saliscendi e un'altro lunghissimo pianoro) erano alla nostra portata. Quando si e' cosi' al limite, forse bisogna prestare ancora maggiore attenzione a dettagli come l'affidabilita' dell'attrezzatura e magari portare un po' di peso in piu' per far fronte rapidamente a eventuali problemi. Anche non aver potuto provare la prima salita ha inciso non poco sulle possiblita' di successo. Sicuramente, una gara come questa non e' una gita. Bisogna andare forte e ogni ritardo e' importante. Se fosse stata una gita normale, saremmo arrivati con un'ora di ritardo, fronteggiando i problemi, e non sarebbe successo niente. In questa gara, con un'ora di ritardo, sei fuori.
C'e' anche da aggiungere che per il gran caldo e' stato chiuso il Couloir de la Rosablanche alle 12:10 e in realta' tutte le squadre arrivate dopo le 10 al checkpoint della Barma sono state fermate (nonostante, come detto, il cancello fosse alle 10:30). In queste condizioni, per arrivare in fondo avrebbe dovuto filare tutto ma proprio tutto liscio e senza il minimo intoppo. E forse non sarebbe bastato lo stesso: ci avevano detto che avrebbero potuto anticipare quel cancello di mezz'ora e sapevamo che per noi sarebbe stato critico, anche in condizioni ideali.

Come sempre in montagna, ciascuno di noi ha imparato molte cose su stesso, su quello che il proprio corpo puo' fare, su come lo puo' fare, su come gestire la fatica, come prepararsi a un evento di questa portata, cosa vuol dire essere una squadra. Siamo partiti con il sorriso, e siamo arrivati con un po' di delusione, ora non ci resta che sfruttare tutto l'allenamento di questi mesi andandocene ancora un po' in giro per i monti finche' dura la neve, e pensare alla prossima occasione, la prossima Patrouille des Glaciers, nel 2012!

Dobbiamo ringraziare molte persone che ci hanno sostenuto in questa avventura.
Per primo Felice, che in un pomeriggio di meta' novembre pose la fatidica domanda: "Perche' non fate la Patrouille des Glaciers?" e la risposta e' mutata in pochi giorni da "Tu sei pazzo, quella e' impossibile" a... "Si puo' fare..." fino a "Iscriviamoci!". Senza di lui non saremmo neanche partiti, anche per il decisivo aiuto che ci ha dato a Zermatt il giorno della partenza. Mi dispiace solo che sia rimasto ad aspettarci invano in cima alla Rosablanche...
Poi Patrizia, che era presente quel giorno di novembre, che ci ha accompagnato nei primi allenamenti, che ci ha sopportato e supportato al campo di Arolla, che mi ha prestato i bastoncini all'ultim'ora e che e' stata un'ottima riserva, fino al momento della partenza.
Grazie a mio fratello Marco, che una volta ha "traghettato" Alessio fino a Zermatt per permetterci di allenarci insieme, e poi sabato mattina, con solo un'ora di sonno alle spalle, ci ha aspettato piu' di due ore al freddo di Arolla con una sacca piena di provviste. Non dimentichero' mai il suo sguardo pieno di entusiasmo e di attesa quando ci ha visti arrivare, correndoci incontro con quella sacca, e il mutare della sua espressione quando ha capito che da li' non saremmo ripartiti...
Ho sempre sentito il sostegno delle persone che mi vogliono bene da sempre e ho letto anche la loro delusione prima nelle loro voci e poi sui loro volti. E sabato, se non ci fossero stati anche loro, sarebbe stata piu' dura per tutti noi tre...

Fabio e' stato per me un ottimo compagno di allenamento e di levatacce a orari improponibili spesso con un'unica, solita meta: Diemtigtal.
Qualcun altro ha cavalcato il mio entusiasmo e lo ha accompagnato a volte silenziosamente, altre rumorosamente, a volte soffrendo anche un po' per le mie assenze forzate. Grazie.

Grazie anche a tutte le altre persone che stanno sul lato meridionale della catena Alpina, in luoghi cosi' remoti geograficamente ma cosi' vicini per spirito.

E per tutti quanti vale una promessa (o una minaccia...): ci riproveremo!

mercoledì 21 aprile 2010

Resa dei conti

Si', sono stati tre mesi piuttosto intensi, ma ora ci siamo. Ecco un po' di link per seguirci

Il sito ufficiale della Patrouille des Glaciers

Come seguirci in diretta

Anche via SMS

Un po' di materiale in francese:

Le Nouvelliste, quotidiano vallese, anche su Twitter

Lo speciale della TSR, molto dettagliato. La TSR trasmettera' anche una lunga diretta della gara, per chi sta in Svizzera, o ha un satellite.

Ci siamo, partenza per Zermatt fra 6 ore, partenza della gara fra 58 ore, arrivo... tra le 14 e le 16 ore dopo!

Avancé!

Cohésion, aventure, effort, équipe... avancé!

martedì 26 gennaio 2010