martedì 13 maggio 2008

A ciascuno il suo


Sulle alpi ci sono i 4000, sui Pirenei i 3000. Il piu' alto di tutti si chiama Pico de Aneto, 3404 metri, ed e' salendolo che probabilmente si e' chiusa la mia stagione invernale sui Pirenei (piu' che altro direi stagione primaverile, visto che e' iniziata il 29 marzo...). Il mio primo 3000 pirenaico e il primo 3000 di Laura coincidono con l'ultima salita dell'anno.
E' passato ormai un po' dal giorno della salita, ma non ho trovato il tempo e lo stato d'animo per sedermi e raccontare di tre giorni che mi hanno insegnato molto. Come quasi sempre accade tra i monti.

Una delle lezioni piu' importanti e piu' belle che si imparano in montagna e' quella di saper riconoscere i limiti propri e della propria cordata o del proprio gruppo.
Un'altra lezione che si impara molto presto e' come a volte questo limite sia in realta' piu' in alto di quello che immaginiamo. L'ignoto fa questo effetto: fa paura , ma finche' non lo proviamo non sappiamo davvero come e' fatto. A volte "il rischio piu' grande e' non correre nessun rischio".

Avevamo un progetto di 4 giorni di relax e montagna a cavallo del ponte del primo maggio. Poi un lavoro che andava finito in fretta ci ha fatto partire con un giorno e mezzo di ritardo, col progetto di due notti in tenda, il Tuc de Muliers per scaldarsi e il Pico de Aneto il giorno seguente.
L'eccessiva fiducia nella capacita' del mio stupendo zaino Black Diamond Frenzy da 28 litri mi hanno fatto dimenticare che fra tenda, sacco a pelo, pentole e fornelli, forse anche lui sarebbe stato un po' al limite. E cosi', alla partenza assumo uno splendido look "albero di Natale".


La salita fino al "Campo 1" e' breve perche' presto fara' buio. Dopo un'ottima cena a base di noodles al vago sapore di pollo e/o gamberetti "original from china", la mattina dopo portiamo la tenda e il materiale ai piani di Aigualluts, sede del "Campo 2", un posto incantato proprio sotto l'Aneto. Quasi tutti per salire scelgono di dormire al rifugio della Renclusa che si trova poco prima sulla destra. Tuttavia in quei giorni stare da quelle parti era un po' come stare sulle Ramblas il sabato pomeriggio, quindi abbiamo optato per questa soluzione "amena" che ci ha regalato due giorni in un'ambiente grandioso quasi tutto per noi.


Nascondiamo il materiale in eccesso sotto un grosso masso e ci dirigiamo verso il Tuc de Muliers. Purtroppo fa gia' caldo, Laura ha pensato bene di sbagliare calzini e si ritrova bloccata dalle vesciche. Cosi' classifichiamo la giornata come "acclimatamento", curiamo le vesciche con acqua gelida di torrente glaciale, facciamo conoscenza con la fauna locale...


... consumiamo il nostro secondo pasto "in quota" questa volta a base di un'ottimo risotto francese...


... e ci godiamo il tramonto...



La mattina dopo il piano e' bellicoso: Pico de Aneto, 1400 metri di dislivello su un pendio continuo. Per Laura apparentemente troppi ma vedere la vetta sempre di fronte agli occhi da' energie inaspettate e cosi' di 200 metri in 200 metri, con tutte le soste del caso per bere e per mangiare, siamo in vetta in un tempo ragionevole e dalla croce ci separa soltanto il famigerato "Paso Mahoma". Si chiama cosi' perche' va affrontato in pratica inginocchiandosi e pare che sia perfettamente indirizzato verso la Mecca. Credo di aver gia' nominato il mio "disagio" sulle creste. Considerato che la vera "climber" della spedizione era, per dirla semplice, piuttosto sfatta, questa volta di saggiare il mio limite non me la sono sentita... Maometto quel giorno ricevette due (ma non solo due a dire il vero) preghiere di meno.


Considerato la pletora di gente che ha salito la montagna in quei quattro giorni, ben dimostrata dalla profondita' della traccia di salita verso la fine dell'ascesa, credo che non si dispiacera' troppo...


Il nostro Aneto ci e' uscito quasi in stile "Himalayano", ma e' stato davvero' "nostro", ci ha permesso di godere di due notti serene tra la neve e le stelle, un bel po' di tempo extra per vivere la montagna che ci accoglieva e una salita solitaria nella quale abbiamo potuto confrontarci con noi stessi. Abbiamo goduto la montagna pienamente e liberamente, senza fretta e senza la ressa di un ponte di inizio maggio. E alla fine abbiamo salutato l'Aneto con un arrivederci, perche' la voglia di tornare per rendere omaggio anche noi a Maometto a 3400 metri sul tetto dei Pirenei un po' ci e' rimasta dentro...

Anche questa volta, caramellina per chi ha resistito fino qua. Una selezione delle foto migliori, da scaricare anche ad alta risoluzione.

venerdì 9 maggio 2008

La concorrenza e' l'anima del mercato

Il mio capo qui a Barcelona e' una specie di "workaholic". E' capitato che arrivassimo verso la fine di un articolo proprio quando lui stava per partire per un periodo di circa un mese in Canada, circa dieci giorni fa. E a un certo punto gli e' venuta una fretta micidiale di pubblicare questo articolo. Cosi' mi ha fatto lavorare fino a mezzanotte per 4 giorni di fila. Poi finalmente l'articolo e' apparso on line giusto ieri.

Oggi sono usciti ben due articoli che praticamente contengono praticamente le stesse osservazioni e gli stessi risultati del nostro lavoro!
C'erano altri due gruppi che stavano pensando esattamente allo stesso problema e hanno trovato esattamente la stessa soluzione. La fretta era ben giustificata quindi, e la pressione che mi ha messo addosso e' servita a farci arrivare primi...

Ammetto di non essere mai stato troppo competitivo, tanto meno nella ricerca scientifica, ma questo avere un po' di "pepe al culo" devo dire che mi ha fatto bene :)

giovedì 8 maggio 2008

Nel Regno dei Ghiacci

A volte certe esperienze sono capaci di lasciarti allo stesso tempo un senso di totale pienezza e di vuoto assoluto.


Quando la montagna si fa selvaggia, a volte richiede un impegno straordinario e al ritorno ci vuole un po' per metabolizzare quello che ti ha restituito in quei momenti. Ogni giorno che passa, le stesse foto ti danno emozioni diverse: dapprima ricordano la fatica, la tensione, il freddo, poi subentra la soddisfazione, la gioia per una meta ambita e conquistata, infine l'emozione e la meraviglia di essere stato proprio tu a scattare quella foto in quel posto.

I ghiacciai dell'Oberland Bernese sono tra i posti piu' selvaggi in cui mi sia capitato di calzare gli sci e le pelli di foca. Quello che si puo' vedere e' solo ghiaccio e neve e roccia. Il freddo appare piu' intenso e il cielo piu' terso. E' facile farsi ingannare dalla quantita' di gente che brulica per i ghiacciai in un finesettimana di aprile. Sembra di stare in un posto "normale", ma un posto "normale" non e'. Tutto richiede attenzione: la mattina appena alzati per andare dal locale invernale (quasi tutti gli italiani erano stipati li'... mentre gli altri se ne stavano comodi al rifugio estivo grande coi duvet sui letti... chissa' perche'...) al bagno e al rifugio estivo dove servono la colazione. Poi bisogna scendere cento metri di dislivello su un'aerea scaletta metallica ancorata alla roccia per raggiungere il ghiacciaio. Attenzione ai crepacci, all'itinerario (perche' tutto e' vasto lassu') e infine ogni vetta richiede un minimo di impegno alpinistico, qualche passo di arrampicata, un po' di attenzione su una cresta, un tratto ripido da superare senza sci. Anche la discesa richiede piu' cautela del normale, e piu' fatica perche' l'aria a 4000 metri non e' come a 2000, ma gli sci scivolano comunque veloci verso l'ultima fatica di giornata: risalire i cento metri di scalette per tornare al rifugio.

In cima al Kleines Gruenhorn si cammina tra roccia e neve. Aggrappato alla vetta ho scorto alcuni licheni appiccicati alla parete. L'unica foma di vita non umana che ricordo di aver visto per tutti e tre i giorni, escludendo qualche uccello che si precipita sugli avanzi di pranzo lasciati dagli escursionisti.

Alla fine della lunga traversata dell'Aletschfirn per raggiungere il Loetschenluecke e fare ritorno alla civilta', scorgere finalmente il verde in fondo alla valle rimette in moto i tuoi sensi e il tuo desiderio di calore e profumo di terra e di erba.


Alla fine, qualche giorno per riassaporare la vita sotto i 3000 metri gia' bastano a far montare la voglia del prossimo viaggio, del prossimo ghiacciaio, della prossima vetta.

Ci sono certi istanti tra le montagne in cui tutto sembra perfetto; invece di scattare una foto, per ricordarne uno cerco di aprire tutti i sensi e stampare nella memoria tutte le sensazioni di quel momento. E' forse la mancanza di questi istanti cosi' pieni che lascia il piccolo vuoto al ritorno; la natura, si sa, ha orrore del vuoto, e quindi appena se ne accorge mi rimette in moto per cercare di riempirlo...



In regalo, per quelli che hanno letto fino qua, il link dove potete trovare una selezione delle foto di questi tre giorni.
Basta cliccare qui.
Date un'occhiata anche ai commenti che ho aggiunto sotto le foto!